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Volterra, città d’alabastro

  Dicono che affiori persino dalla terra smossa dei campi, la candida pietra che ha segnato il destino della città in provincia di Pisa. E per quanto di miniere in realtà non ne siano rimaste molte, la tradizione dell’artigianato legato a questa preziosa materia prima è ancora viva e portata avanti anche dai più giovani, con grande amore     Iniziò con gli etruschi la lavorazione dell’alabastro a Volterra. Furono loro i primi a venire a contatto con la pietra bianca di cui era ricco il territorio di quella che oggi è una delle capitale toscane d’arte e cultura immersa tra panorami di cime vertiginose e distese morbide di colline, e ad usarlo soprattutto per la realizzazione di urne funerarie. Dall’epoca antica, con un salto nel Medioevo, la lavorazione riprese nel ’500 e proseguì spaziando dall’arte sacra alla manifattura a indirizzo commerciale. Nel 1895 si costituì la Cooperativa Artieri dell’Alabastro, la struttura produttiva più antica dell’intero comparto alabastrino di Volterra. Alcune tipologie di alabastro gessoso si estraggono ancora nella zona, nelle poche miniere rimaste. Lo “scaglione”, ad esempio, alabastro di pregio e particolare trasparenza, si estrae sotto forma di ovoli rotondeggianti, in quella di Castellina Marittima. Ma i locali raccontano che, qualche volta, l’alabastro affiora anche nei campi, mentre i contadini lavorano la terra.   Per candide stradeNell’antichità esistevano molte specializzazioni artigianali legate a questa pietra pregiata, con una suddivisione più netta rispetto al lavoro di oggi. C’erano, per citarne alcuni, il cavatore, lo squadratore, l’intarsiatore, lo scultore, l’ornatista, il tornitore. Oggi a Volterra gli artigiani dell’alabastro continuano la tradizione dell’antico mestiere, dal più noto e anziano, Aulo Grandoli, detto il Pupo, alle nuove generazioni. Silvia Provvedi, classe ’82, è l’alabastraio più giovane. La sua bottega si trova in centro, vicina alla Piazza dei Priori. Qui Silvia, scultrice e ornatista, fa lavorazione manuale e vendita diretta delle sue creazioni. «Uso l’alabastro di Volterra per i miei lavori; ho bisogno di una pietra compatta e quella volterrana è perfetta. Utilizzo la pietra gialla, alcuni bardigli e il trasparente di Castellina». Accanto a martello e scalpello per la scultura, la scuffina resta l’attrezzo più affascinante di settore, non più in commercio. Un tempo si produceva nelle botteghe, oggi si tramanda. «Non provengo da una famiglia di alabastrai – ci spiega Silvia – quando ho aperto questa attività alcuni vecchi alabastrai che avevano smesso di lavorare mi hanno portato i loro attrezzi. È stato commovente». Con l’alabastro gli artigiani volterrani producono pregiate sculture, ma anche lampade, vasi, oggetti ornamentali e così la città ci svela i suoi colori, le forme e le trasparenze. Basta andare a passeggio per le vie del borgo, o visitare le botteghe del centro storico dove ancora si fa la lavorazione manuale e il museo etrusco Guarnacci, quello della celeberrima “Ombra della sera” e delle antiche urne cinerarie in pietra bianca. Poi l’ecomuseo dell’alabastro, custode di sculture e luogo in cui si scopre una storia millenaria, in un percorso nel tempo che ci dà anche la possibilità di visitare una vecchia bottega, allestita in una sala. E ancora in tour a Palazzo Viti, prestigiosa dimora storica dove si ammirano produzioni di pregio in alabastro, come i candelabri monumentali della sala da ballo.    San Luca degli alabastraiTremila anni di alto artigianato artistico ancora vivono e fanno muovere la città, anche in occasione della festa del patrono San Luca degli alabastrai del 18 ottobre, appuntamento autunnale che celebra la figura dell’alabastraio di Volterra, con un pranzo e un programma di eventi dedicati alla pietra bianca e al suo mestiere, valorizzando l’identità dell’artigiano. Il racconto di questo mondo è una vera immersione nel passato, che ci arriva dalle parole di una giovane appassionata ricercatrice delle memorie storiche e tra i primi promotori della festa di San Luca: «Tra gli Anni ’50 e ’70 – ci dice Silvia Provvedi – quello degli alabastrai era un vero e proprio modo di vivere. Nelle botteghe si mangiavano trippa e i fagioli al fiasco, piatto riproposto anche per la Festa di San Luca, si intonavano liriche, si commentava il mondo e ci si confrontava sulle esperienze di lavoro».  www.artierialabastro.it      

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