Nell’affascinante panorama degli spiriti italiani, il vermouth di Torino rappresenta un capitolo fondamentale della nostra storia enogastronomica. Questo prezioso elisir aromatizzato affonda le sue radici in antiche tradizioni curative, dove le erbe e le spezie venivano sapientemente mescolate con il vino per creare rimedi medicinali. Il termine stesso evoca questa origine, derivando dalla parola tedesca “wermut”, che significa assenzio, ingrediente protagonista nelle prime formulazioni.

Fu però nella Torino del XVIII secolo che il vermouth trovò la sua vera identità. Nel 1786, il liquorista Antonio Benedetto Carpano, rivoluzionò il concetto di vino aromatizzato creando la prima formula commerciale di vermouth dolce. Con questa intuizione, Carpano trasformò una preparazione medicinale in un raffinato aperitivo, segnando l’inizio di una tradizione che avrebbe conquistato le corti reali europee e poi il mondo intero.
L’arte della produzione
La creazione del vermouth di Torino rappresenta un perfetto equilibrio tra scienza e poesia. Questo aperitivo nasce da un vino bianco di qualità, generalmente neutro nel profilo aromatico, scelto come tela su cui i maestri liquoristi dipingono con erbe e spezie.
Il processo inizia con la selezione meticolosa del vino base, tipicamente ottenuto da uve come Trebbiano, Catarratto o talvolta Pinot Grigio. La vera magia però si manifesta nella preparazione del complesso aromatico, un segreto gelosamente custodito da ogni casa produttrice. Questa miscela, diversa per ogni etichetta, include sempre l’assenzio, componente obbligatoria per definizione, accompagnato da una serie di ingredienti botanici come coriandolo, cannella, chiodi di garofano, scorza d’arancia amara, genziana, cardamomo e vaniglia.
Questi elementi vengono sottoposti ad un processo di infusione nel vino o in alcol, che successivamente viene unito al vino base. La macerazione, fase cruciale nella produzione, può protrarsi da alcuni giorni fino a diverse settimane, permettendo l’estrazione completa degli aromi e dei principi attivi.
La dolcificazione rappresenta un altro momento fondamentale: a seconda della tipologia desiderata, i maestri liquoristi aggiungono zucchero o mosto d’uva concentrato in quantità variabili. Il classico vermouth di Torino rosso (dolce) contiene una percentuale maggiore di dolcificante rispetto alle versioni dry (bianco) o extra dry. La fortificazione con alcol completa il processo, stabilizzando il prodotto e portandolo a una gradazione che tipicamente oscilla tra i 16 e i 18 gradi.
Torino e il vermouth, un legame indissolubile
Il rapporto tra Torino e il suo vermouth trascende la semplice produzione, configurandosi come un autentico patrimonio culturale. La capitale sabauda, con la sua raffinata atmosfera di caffè storici e salotti intellettuali, ha fornito l’ambiente ideale per la nascita e l’evoluzione di questo prodotto iconico. Non è un caso che proprio qui, all’ombra della Mole Antonelliana, il vermouth sia diventato simbolo di convivialità e di quel momento speciale che gli italiani chiamano “aperitivo”.
Nei caffè torinesi dell’Ottocento, frequentati da artisti, politici e aristocratici, il vermouth si affermò come bevanda distintiva di un nuovo rituale sociale. Personalità come Cavour ne erano estimatori, contribuendo alla sua diffusione negli ambienti che contavano. Le grandi case produttrici torinesi – Carpano, Cinzano, Martini & Rossi – hanno trasformato questa specialità locale in un prodotto di fama mondiale, mantenendo però un legame inscindibile con il territorio d’origine.
Questo legame è stato recentemente riconosciuto e tutelato con l’Indicazione Geografica (IG) “Vermouth di Torino”, che nel 2017 ha stabilito precise regole produttive e geografiche, sancendo definitivamente l’appartenenza di questo prodotto al patrimonio piemontese.
Un rinascimento contemporaneo
Dopo un periodo di relativa dimenticanza nella seconda metà del Novecento, il vermouth di Torino sta vivendo una straordinaria rinascita. Bartender di fama internazionale hanno riscoperto le sue qualità uniche, integrandolo in cocktail classici come il Negroni, il Manhattan e il Martini, ma anche sperimentando nuove combinazioni.
Parallelamente, piccoli produttori artigianali hanno affiancato le storiche case produttrici, proponendo interpretazioni innovative che rispettano la tradizione ma guardano al futuro. Questo movimento ha riportato l’attenzione sulla qualità degli ingredienti, sull’importanza del territorio e sulle tecniche produttive tradizionali.