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Paradisi verticali: le montagne d’Italia

 Le tre cime di Lavaredo Si fa presto a dire montagna. Ma quale montagna? C’è quella caotica, impaziente di portare in quota i riti delle riviere d’agosto o degli happy hour cittadini. Quella silenziosa, con le sue vallette incantate, borghi fantasma, fauna selvatica. E poi, meglio la località ipertecnologica e sportiva o la malga sperduta, immersa in un’altra era? Ognuno può ritagliarsi la montagna che vuole, il catalogo è infinito. Dici montagna ed è un po’ come dire Italia, dalle Alpi all’Etna, e perché non l’Abruzzo, la Sardegna, l’Appennino? Uno stuolo di parchi e riserve naturali. Un universo, quello di valli e cime, che nel panorama del turismo nazionale su base annua coinvolge quasi un turista italiano su sei (uno su tre in inverno) e che nei mesi freddi vede sempre più gente raggiungere la montagna nei soli week end, piuttosto che per l’intera, tradizionale, settimana bianca, con un incremento costante di interesse per lo sci (questo, però, almeno nell’ultimo Natale, compromesso dalla mancanza di neve). Nel 2014, ben 11,44 milioni di italiani hanno messo almeno una volta gli sci ai piedi, rispetto ai 10,75 del 2013. Un incremento del 6,4%. E non scherzano nemmeno i dati sullo sci alpinismo (un piccolo boom, anche perché permette di risparmiare sugli impianti di risalita) e sulle ciaspole, sempre più apprezzate per passeggiare a stretto contatto con la natura. Il Trentino, fra le mete montane, continua a farla da padrone con il 23,3% della domanda, seguito da Piemonte, Lombardia, Valle d’Aosta, Friuli, Abruzzo. La crisi economica, invece, morde di più la montagna in versione estiva, con un calo costante, a livello di entrate, ormai in corso da cinque anni. Ma dove andare, dunque, e quale montagna scegliere? L’argomento è inesauribile. Andiamo per ordine. E magari, visto che siamo nel 2016, prendiamola esattamente da cento anni fa, quando sui monti lombardi, trentini, friulani, si combatteva (per tre anni, dal 1915 al 1918) la Prima Guerra Mondiale, da queste parti detta Guerra bianca contro gli austriaci. I percorsi della memoriaMerita una certa fatica la cosiddetta strada storico militare delle 52 gallerie, una mulattiera che sale dal Passo di Xomo, nel vicentino, in Veneto, a poco più di 1.200 metri, e attraverso appunto 52 gallerie scavate nella roccia dai nostri soldati si inerpica fino al rifugio Achille Papa (a 1.928 metri, aperto dalla primavera all’autunno). Si sale per tre ore, superando un dislivello di 750 metri, per cui l’escursione non è da sottovalutare. Ma la suggestione del percorso è notevole, il sentiero panoramicissimo, a volte perfino troppo, con strapiombi vertiginosi (ma non pericolosi) e viste mozzafiato sul Monte Pasubio. E poi c’è la storia del luogo, un’opera straordinaria di ingegneria militare per rifornire le nostre truppe al riparo dal tiro delle artiglierie nemiche. Intorno al rifugio, ci sono montagne come il Dente austriaco e il Dente italiano, che sono state al centro di sanguinosissimi scontri. Parlando di Prima Guerra Mondiale, poi, non si può fare a meno di citare il rifugio Lagazuoi, a oltre 2.700 metri di altitudine, raggiungibile in funivia dal passo Falzarego: offre una delle viste più belle del mondo (e più ravvicinate) delle Dolomiti venete e altoatesine, Tofane in testa, oltre a lanciare su due discese sciistiche strepitose. Però fa pure riflettere su quello che è stato il tremendo conflitto ad alta quota, fra trincee, gallerie militari, postazioni. Le riflessioni, allora, non possono che terminare nel cimitero militare austro-ungarico del minuscolo paesino di Slaghenaufi, a quota a 1.280 metri nel comune di Lavarone, in provincia di Trento, rimasto intatto come alla fine della Grande Guerra, l’unico coi nomi di tutti i soldati, tomba per tomba, dalle caratteristiche croci in legno. È invece legato alla memoria della Seconda Guerra Mondiale lo storico albergo sul Lago di Braies, l’Hotel Pragser Wildsee, splendidamente adagiato in riva a uno dei laghi più belli delle Dolomiti, ai piedi delle montagne del Parco Naturale Fanes-Sennes-Braies, e protetto dalle belle arti (risale alla fine dell’Ottocento). Proprio qui i nazisti pensarono di tenere prigioniere oltre 130 personalità di riguardo fra alti ufficiali, principi e politici di rango, provenienti da ben 17 nazioni europee.Il lago di Braies Dalle Alpi Marittime alla CarniaPer restare nel Nord Italia, sul versante alpino, alla ricerca di mete meno note ma straordinarie, le Alpi Marittime si incontrano al confine con la Francia venendo dal mare in Liguria. Sorgono fra le Alpi Liguri e le Cozie meridionali, nomi da lontane reminiscenze scolastiche, e regalano a chi si avventura scorci meravigliosi in terre così affascinanti da aver stregato i Savoia, che vi venivano spesso a caccia, nei secoli scorsi, e hanno lasciato edifici storici e bellissime mulattiere in pietra. A partire dagli anni Settanta, lo spopolamento ha raggiunto picchi del 70-75 per cento, anche se oggi assistiamo a una certa riscoperta. Nella Val Gesso, la maggiore del Parco naturale delle Alpi Marittime, c’è forse la più alta concentrazione di camosci di tutte le Alpi, anche se restano animali riservati e piuttosto difficili da avvistare, a meno che non ci si armi di pazienza e un buon binocolo. Più facili da ammirare sono gli stambecchi e sono almeno 500, molto più socievoli e quasi avvicinabili. Nell’alta valle c’è il Pian di Valasco, un grande pianoro, fondo di un lago antico, dove Vittorio Emanuele II fece costruire una Real Casa di caccia. Ed è strepitoso il rifugio Federici-Marchesini al Pagarì, davanti a uno scudo di roccia di oltre trecento metri e una vista grandiosa. La zona è detta Maledìa e riprende la leggenda di una maledizione lanciata sul luogo da tre sorelle cacciate di qui da un prepotente signore, che era stato respinto da una di loro. L’Alpe di Devero è invece in Piemonte, al confine con la Svizzera, in provincia di Verbania, e qui la circolazione delle auto è vietata. Fa parte del Parco regionale dell’Alpe Veglia e dell’Alpe Devero ed è imperdibile per chi cerca una zona di pace e natura incontaminata non lontano dall’affollata e inquinata Pianura Padana. A Crampiolo esistono alberghetti che si raggiungono solo a piedi in quaranta minuti dal parcheggio sopra Baceno, con un servizio di auto elettrica (volendo) per il trasporto dei bagagli; la Capanna Castiglioni è stata ristrutturata di recente e offre racchette da neve (se necessarie) per passeggiate di grande suggestione. Forse, però, restando al Nord, è soprattutto in Friuli che si possono trovare ancora montagne d’altri tempi, sentite e vissute come profondi luoghi dell’anima in cui ritrovare se stessi e (pochi) altri. L’Arzino è un piccolo fiume che sfocia nel Tagliamento e scorre lungo la Val d’Arzino, nelle Prealpi Carniche, in provincia di Pordenone. Come ricorda lo scrittore della Valcellina Mauro Corona, che della montagna ha fatto la sua musa ispiratrice, ogni ruscello si costruisce la sua cassa armonica e ha la sua voce, bisogna solo imparare ad ascoltarla. Quella dell’Arzino è particolarmente intonata e il paesaggio è quasi del tutto incontaminato. Fondato sull’acqua (di norma ghiacciata in inverno) è anche il fascino dei due laghi di Fusine, nel comune di Tarvisio, fra gli specchi d’acqua alpini più belli; il luogo ha ispirato il film La ragazza del lago, di Andrea Molaioli. Circondati dai boschi e dalle cime del gruppo montuoso del Mangart, una serie di sentieri permette di passeggiare intorno ai laghi e di raggiungere il rifugio Zacchi. Ma in fatto di laghi non va dimenticato nemmeno quello di Bordaglia, nel comune di Forni Avoltri, verso il confine austriaco, a 1.700 metri sul livello del mare: è la più vasta oasi di rifugio faunistico del Friuli, punto d’approdo e di riferimento per camosci, cervi, caprioli, volpi, faine, aquile, galli cedroni, pernici bianche, marmotte. Poi c’è Sauris, che merita un discorso a parte: è un borgo storico dove si parla un particolare idioma locale d’influenza germanica, da cui possono avere inizio magiche escursioni nelle Dolomiti carniche. È una conca circondata dalle montagne rimasta a lungo isolata dal fondovalle e ancora oggi gelosamente custode di una cultura locale dall’identità molto forte. Uno dei momenti in cui si esprime al meglio è durante il carnevale.I Monti Sibillini Foreste sacre e antri misteriosiI Monti Sibillini sono il Tibet italiano. A cavallo fra l’Umbria e le Marche, fra Norcia e Montemonaco, sono davvero uno dei luoghi più fascinosi e arcani d’Italia, a partire da quella piana di Castelluccio di Norcia (su un poggio a quasi 1.500 metri di altitudine) che si può percorrere in auto o a piedi, comunque in silenzio, rapiti dalla bellezza quasi spirituale del posto. Vi si coltivano lenticchie fra le più buone d’Italia, ogni stagione ha i suoi colori, ma le fioriture di primavera, da maggio a luglio, sono spettacolari, si passa dal giallo dei fiori che vivono in simbiosi con quelli di lenticchia, al rosso dei papaveri fino all’azzurro dei fiordalisi. D’inverno, se c’è neve, si pratica lo sci di fondo. Quando non c’è neve, si può salire sul Monte Vettore o sulla Cima del Redentore e il bello della passeggiata è che basta poco per essere in quota e camminare sul crinale della piccola catena montuosa, con discese molto panoramiche su entrambi i lati del sentiero. Il nome Sibillini, però, deriva dalla Sibilla Appenninica e da un’altra cima dei Monti, il Monte della Sibilla, dove la leggenda vuole che la profetessa del mondo antico dettasse le sue (pre)visioni all’interno di una grotta proprio sotto la cima. Il Bosco di Sant’Antonio, nella zona meridionale della Maiella, in Abruzzo, è celebrato da sempre come luogo di bellezza che ispira alti pensieri: basti pensare che in età romana era foresta sacra a Giove, nel Medioevo centro di devozione a Sant’Antonio e oggi è inserito nel Parco nazionale della Maiella, la montagna madre degli abruzzesi, un colosso a cavallo delle province di Chieti, L’Aquila e Pescara, una trentina di vette che superano i duemila metri di altezza. Sfoggia faggi e cerri plurisecolari, capaci di raggiungere i sei metri di circonferenza. Sono alberi monumentali, dalla caratteristica forma a candelabro. I colori che il bosco raggiunge in certe giornate autunnali sono incredibili. Per arrivarci basta partire dal vicinissimo borgo di Pescocostanzo, tra i più belli d’Italia. Profondo Sud: Pollino e SupramonteSono un vero e proprio monumento geologico le Gole del Raganello, fra le più imponenti d’Italia, con pareti che sfiorano gli ottocento metri, all’interno del Parco nazionale del Pollino, la grande, selvaggia montagna fra Basilicata e Calabria, dove diverse cime superano i duemila metri di altezza. Si possono facilmente raggiungere dal paesino di San Lorenzo Bellizzi, in provincia di Cosenza ed evitando alcuni tratti troppo impervi sono una passeggiata imperdibile, in una sorta di campionario di tutte le erosioni possibili. Più a sud, vicino a Catanzaro, ci si può invece addentrare nel Parco nazionale della Sila, uno dei luoghi più verdi e ricchi d’acqua della Calabria, per esempio alla cascata Campanaro, alta 22 metri e immersa in un’oasi naturale dove ogni traccia umana è bandita. Ma sono molto popolari anche i cosiddetti sentieri dei passi perduti, un intreccio di itinerari adatti a tutti, molto indicati in autunno per chi cerca funghi e castagne. In Sicilia non è ammissibile non citare ‘a Muntagna, l’Etna, il grande vulcano che incombe su Catania, la sua ferrovia Circumetnea, che gira tutto intorno al monte, la possibilità di salire al cratere con le guide esperte (per esempio quelle di Etna moving o di Etna experience, ma sono moltissime le sigle che offrono escursioni, anche sulla neve). Montagne meno da… copertina, ma di una Sicilia autentica si trovano nel Parco regionale delle Madonie, all’interno della provincia di Palermo, non lontano da Pollina e Cefalù, che a Polizzi Generosa vanta perfino un Film festival sul paesaggio nel parco delle Madonie. Da Piano Battaglia parte uno dei sentieri più affascinanti, alla conquista del Pizzo Carbonara, la cima più alta delle Madonie, coi suoi 1.912 metri, da cui la vista nelle giornate limpide spazia dall’Isola di Ustica alle Eolie. Lungo il percorso si incontra il Rifugio Scalonazzo, ma soprattutto si possono ammirare piuttosto facilmente fossili, spugne e alghe calcaree, resti dell’antico mare che ricopriva la Sicilia. Una delle zone veramente più aspre e selvagge d’Italia si trova infine in Sardegna, a nord del Gennargentu, ed è il Supramonte, un altopiano tagliato da valli profonde nei territori di Oliena, Orgosolo, Dorgali, Baunei e Urzulei. Forse l’approccio migliore, per cominciare, potrebbe essere quello di contattare la Società servizi turistici cultura e ambiente di Orgosolo, un gruppo di guide preparate ad accompagnare chi voglia addentrarsi nel mondo montanaro sardo (ossia il mondo più autentico della Sardegna), con fuoristrada e pranzi organizzati coi pastori, a base di pecora bollita, ricotta locale stagionata, maialetto arrosto e Abbardente, l’acquavite locale di gradazione mai inferiore ai 50 gradi, assistendo negli antichi ovili anche alla preparazione del formaggio. A maggio si può assistere alla tosatura delle pecore.

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