Nella produzione mondiale di lipidi per uso alimentare l’olio di palma rappresenta il 25% degli oli vegetali. Nel 2014 in Italia ne sono stati importati 25 kg pro capite. È questa una quota elevatissima che lo pone ai primi posti nell’utilizzo nei più disparati prodotti dell’industria alimentare e della cosmesi. Perché è detentore di questo primato? Un’analisi storico-merceologica potrà essere utile per capire le ragioni della sua famigerata nomea È di colore rosso acceso, per via dell’elevato contenuto di carotenoidi, e si ottiene dalla spremitura dei frutti della palma Elaeis guineensis; l’olio di palma integrale (red palm oil) è ampiamente utilizzato nei paesi in cui quest’ultima viene coltivata, in particolare Asia, Africa, America centro-meridionale. Sconosciuto in Occidente, perché tende a irrancidire e colora in rosso le preparazioni culinarie, l’olio integrale di palma contiene dall’1 al 3% di composti non saponificabili in proporzioni differenti, esattamente come l’extravergine di oliva (fitosteroli, carotenoidi, fenoli, triterpeni, vitamine). Queste componenti proteggono l’olio da un’eccessiva ossidazione durante la cottura e sono elementi nutrizionali utili all’organismo umano. L’altra similitudine con l’extravergine è nel metodo di ottenimento, cioè per spremitura. Importante ricordare infine che i precursori della vitamina A sono 15 volte più abbondanti nell’olio di palma non raffinato rispetto a quanto non lo siano nelle carote. In definitiva quindi il suo utilizzo è corretto dal punto di vista nutrizionale e può essere assunto anche come integratore di vitamina A per la popolazione infantile presente nei paesi più poveri. Perché la presenza di olio di palma nei prodotti alimentari confezionati è oggi sotto accusa? Conveniente… per chi?Semplice, l’olio di palma impiegato dall’industria alimentare è altra cosa rispetto a quello di cui abbiamo fin qui parlato. È un prodotto raffinato con metodi chimico-fisici che lo trasformano in un condimento incolore, inodore e insapore, utilizzabile in moltissime preparazioni. La raffinazione porta alla formazione di due frazioni, una solida ricca di acido palmitico, e una liquida ricca di acido oleico. La frazione liquida, per la sua stabilità al riscaldamento, è utilizzata per friggere. La frazione solida, opportunamente trattata, porta alla formazione di grassi con proprietà differenti utilizzabili nelle margarine, nelle merendine, nelle creme spalmabili, nelle salse salate. Il fatto di essere povero di percezioni gustative è molto considerato dall’industria perché così l’alimento che lo contiene può essere addizionato con aroma di burro (E950) conferendogli così, a basso costo, preziosa palabilità. Armi vincenti dell’olio di palma sono infatti, da una parte, la sua cremosa spalmabilità, che l’ha portato a sostituire burro, lardo e margarine dalla bassa percentuale di acidi grassi trans in molti prodotti alimentari, dall’altra il suo basso costo. Questa sua cremosa spalmabilità è stata l’arma vincente che ha portato alla sostituzione del burro, del lardo e delle margarine coninsieme all’altra caratteristica, forse più avvincente per l’industria multinazionale, che è il basso costo: circa 1 euro al kg contro i 4,5-5 euro al kg del burro anidro.Detto questo, come mai l’olio di palma è salito agli “onori” della cronaca in queste ultime settimane? Perché finalmente il consumatore attento si è reso conto del fatto che è ingrediente fondamentale in centinaia di prodotti alimentari, anche in quelli considerati pregevoli. Per molti anni infatti la sua presenza è stata legalmente celata con dizioni tipo “grassi vegetali”, “grassi vegetali non idrogenati”, “olio vegetale” e altre denominazioni. L’attuazione del Regolamento Ue 1169/2011 che dispone le nuove norme sull’etichettatura dei prodotti alimentari (dicembre 2014), obbliga a indicare le origini vegetali specifiche per tutti gli alimenti che contengono oli o grassi di origine vegetale, quale che sia la loro quantità. Si è così resa evidente la loro presenza in quasi tutti gli alimenti conservati, nei prodotti da forno, nelle merendine, nei pani industriali, nelle creme spalmabili. È presente negli alimenti per celiaci, addirittura in alimenti e latte per neonati. E immediatamente si sono aperte polemiche. Si può fare!Attualmente esistono almeno 50 studi nel mondo che portano alle stesse conclusioni: l’utilizzo dell’olio di palma raffinato è chiaramente collegato a un aumento del colesterolo totale e del colesterolo LDL, conosciuto come colesterolo cattivo. Si tratta di studi autorevoli pubblicati su importanti riviste di settore come l’American Journal of Clinical Nutrition, o Lipids, che ha pubblicato uno studio che mette in relazione l’acido palmitico, fortemente presente nell’olio di palma, con processi infiammatori cronici del nostro organismo (per dovere di cronaca bisogna dire che ci sono altri lavori scientifici che tentano di dimostrare che il potere aterogeno dell’olio di palma, cioè la capacità di determinare malattie cardiovascolari, è esattamente uguale a quello dei grassi saturi di altra origine). Recenti studi condotti in tre importanti Università italiane e dalla Sid (Società Italiana Diabetologia), hanno rilevato che il grasso di palma distrugge le cellule beta del nostro pancreas causando così l’insorgenza di diabete mellito. C’è da dire che è immediatamente partita la controffensiva delle lobbies nazionali e internazionali che con mezzi convincenti, anche economici, tentano di costruire correnti di opinion leader e di ricercatori orientati a dimostrare la bontà salutare dell’olio di palma (raffinato); attualmente però il fiume scorre in un’altra direzione: 15 catene di supermercati hanno dichiarato di sostituire l’olio tropicale e di rendere i loro prodotti palma free. La lista comprende U2, Ikea, Coop, Esselunga, Carrefour, Iper, Despar, Primia con i marchi Basko, Poli, Tigros e Iperal, Crai, Ld Market, Picard, MD discount. Anche aziende come Gentilini, Alce Nero, Misura hanno dichiarato di eliminare i derivati del red palm oil dai loro prodotti gastronomici. Non solo, Misura dichiara che «la sostituzione dell’olio di palma con olio di girasole ha determinato un vantaggio dal punto di vista nutrizionale senza alcuna penalizzazione del gusto». Dunque, senza palma si può fare! Contrariamente a quanto affermato da Barilla che ostenta la salubrità di questo grasso tropicale e che continua a utilizzarlo nel marchio Mulino Bianco; o a Ferrero che, insieme ad altre multinazionali, continua a utilizzarlo, ad esempio nella Nutella, resa untuosa e spalmabile esclusivamente con l’olio di palma. La foresta ringraziaEsiste una altra grande motivazione per ridurre il consumo di olio di palma, che trascende gli aspetti salutistici. L’enorme consumo mondiale di derivati dell’olio di palma ha determinato la creazione di enormi coltivazioni mediante la deforestazione delle foreste pluviali in Malesia e Indonesia. In 12 anni la Malesia ha perso 6 milioni di ettari di foresta tropicale vergine, o meglio, li abbiamo persi tutti noi, insieme ai 500 mila ettari del Brasile. E a una buona fetta di biodiversità. La bufala della sostenibilitàMolte aziende, nel goffo tentativo di lavarsi la faccia unta da oli tropicali, dichiarano di utilizzare olio di palma certificato sostenibile esibendo certificazione dell’Rspo (Tavola Rotonda per l’Olio di Palma Sostenibile). Ma che valore può avere questa certificazione che “tollera” la deforestazione ottenuta con incendi e con drenaggio delle torbiere? Se bisogna nutrire il pianeta occorre farlo senza far ingrassare prima le multinazionali dell’agroalimentare.