È uno dei più famosi simboli cittadini e regionali. Una sintesi di sapere antico e architettura che fonde arte e bellezza dando vita e esemplari unici. Con questa materia prima tanto solida quanto pronta a essere modellata e ricamata con dettagli che hanno dell’incredibile, si è realizzato (e si realizza) di tutto: dai dolmen alle chiese barocche salentine – candidate a patrimonio Unesco – alle più moderne soluzioni d’arredo Alla base, dolcezza e plasmabilità; una specifica propensione della materia a lasciarsi forgiare da un tripudio di particolari e ricami minuziosi che ne determinano quasi un logo d’appartenenza. Una sorta di sigillo d’arte ottenuto non solo grazie alla maestria artigianale capace di grandi opere al solo colpo di scalpello e martello, ma soprattutto a una storia millenaria che ha fatto della pietra leccese una tra le più elevante forme di artigianato nazionale. Barocco salentinoÈ proprio la storia che affonda nella notte dei tempi a parlare di un territorio ricoperto completamente d’acqua e popolato di animali di ogni tipo. Mammiferi, anziché coralli e microrganismi animali i cui frammenti, nel corso dei millenni hanno contribuito a regalare alla pietra salentina una consistenza perfetta: morbidezza, porosità e duttilità, oltre alla capacità di resistere all’erosione per mano di agenti fisici, chimici e atmosferici. Quasi un patto con il diavolo per una pietra millenaria che dall’età miocenica (23 milioni di anni fa) è giunta fino ai giorni nostri e continua a trascinare l’economia locale. Importanti cave a cielo aperto, profonde fino a cinquanta metri, sono infatti presenti su tutto il territorio salentino e in particolare nei comuni di Lecce, Corigliano d’Otranto, Melpignano, Maglie e Cursi. E nonostante la pietra leccese trovi la sua affermazione più fastosa solo a partire dal XVII secolo, il suo originale utilizzo risale invece alla preistoria quando furono eretti numerosi monumenti megalitici – dolmen e menhir – presenti ancor oggi su tutto il territorio salentino con la funzione originale di altari, sepolcri ovvero come simboli propiziatori di fecondità. E fu proprio la fecondità della chiesa, o meglio il suo bisogno di riconquistare terreno su scala nazionale, a dettare l’ostentazione di certe forme geometriche. I ridondanti ghirigori del nascente barocco pugliese dovevano così accogliere la fondazione dei nuovi ordini religiosi riformati – Celestini, Teatini e Gesuiti – che necessitavano di promozione e ostentazione. Cornici e trabeazioni, cariatidi e telamoni, trofei di fiori e frutta, puttini e maschere sono solo alcune degli elementi ricorrenti nei numerosissimi monumenti e chiese e cappelle, così come nelle dimore gentilizie, nelle corti, sulle mensole dei balconi, su cornici e finestre: una sterminata carrellate di decorazioni che si diffusero in tutto il Salento a partire da Lecce. Gli esempi più famosi li ritroviamo nella Basilica di Santa Croce, nell’Ex convento dei Celestini, nella chiesa di San Matteo, ovvero nella maestosa Piazza Duomo. E poi ancora a Nardò, nella la Chiesa di San Domenico; a Gallipoli, nella Cattedrale di Sant’Agata; a Melpignano nella Chiesa del Carmine e nel convento degli Agostiniani. A rendere possibile simili capolavori, alcuni nomi d’alto profilo, come quello dell’architetto Giuseppe Zimbalo, anche se nella maggior parte dei casi si è trattato dell’opera di semplici scalpellini. Gente comune, dotata di grande maestria ed arte, così come di grande umiltà. Scalpellini docScalpellino per vocazione, scultore per professione. È Antonio Margarito, per il quale la scultura è da sempre fonte d’ispirazione e mezzo per tradurre visioni di spettacolare bellezza. L’arte di Antonio (e di suo fratello Pierpaolo) si è affermata dapprima in campo civile, con la realizzazione di arredi e di opere ornamentali dall’evidente gusto classico. Camini, fontane, vasi, tavoli ed elementi di arredo dal gusto monumentale e tassativamente in pietra leccese: così hanno mosso i primi passi per poi conquistare gradualmente il campo dell’arte sacra, producendo opere altisonanti come la statua di San Teodoro nella Chiesa Madre di Torrpaduli, la Madonna con bambino nella chiesa di Gemini, la Cattedra e Ambone nella Chiesa dell’Idria a Lecce o come la Cattedra nella Cappella di San Donato a Montesano Salentino. «Non ci può essere futuro, senza passato» ripetono in coro i Margarito ricordando che la loro formazione si è basata appunto sullo studio delle testimonianze e dalle tecniche antiche. Per saperne di più:www.scultoredistatue.it