Dalla carne ricomposta ai surrogati della mozzarella: le ultime frontiere delle aberrazioni alimentari contemporanee arrivano dagli USA. Il rischio si nasconde soprattutto nei cibi pronti. Pare che, entro il 2014, l’UE interverrà per fare chiarezza: nel frattempo occhio all’etichetta! Si chiama Pink Slime, che tradotto vuol dire “poltiglia rosa” ma che commercialmente si identifica come “carne ricomposta”. Ha un inventore, Eldon Roth e, per quanto riguarda l’utilizzo nell’alimentazione umana, anche una data di nascita: il 2001. Non recentissima, direte voi. Concordo, ma solo ora è salita alla ribalta. Di cosa si tratta? È un prodotto industriale a base di diverse qualità di carne, reso conservabile attraverso specifiche sostanze. In realtà la Pink Slime, o meglio LFTB – ovvero carne di manzo magra con struttura fine (suona appetitosa, non è vero?) – è stata pensata per le carni bovine, ma dopo lo scandalo della BSE (meglio noto come “mucca pazza”) non è stato più possibile utilizzare tale metodo con quel tipo di carne, metodo invece impiegato per tutte le altre carni, in particolare per i volatili e il pesce. Come funziona? Si toglie, per esempio da un pollo, tutto quanto è vendibile, cioè petto, cosce e ali. Il resto, e cioè cartilagini, tendini, altri tessuti connettivi e persino la carcassa, viene triturato finemente, passato attraverso filtri in modo da eliminare pezzetti di ossa qualora ce ne fossero, poi si toglie il grasso in eccedenza, si aggiungono infine carbonato di ammonio per rendere la poltiglia “durabile” e rosa, e spezie e aromi che le conferiscono il gusto desiderato. Pink Slime può così andare sul mercato a un prezzo naturalmente molto basso. Negli Stati Uniti il 70% della carne macinata contiene Pink Slime, compresa quella usata da McDonald’s e Burger King. E da noi? Beh, noi siamo il paese della buona cucina, parlare di certi argomenti sembra essere un tabù: si rischia un’accusa per lesa maestà. Ma le cose non sono poi così scontate. Tutto quanto è tritato od omogeneizzato (non mi riferisco agli omogeneizzati per bambini ma a wurstel, mortadelle, salami di pollo etc., ovvero tutto ciò che per essere prodotto subisce un processo di omogeneizzazione) può contenere Pink Slime. La poltiglia non è acquistabile al supermercato, ma è riservata all’industria: attenti quindi quando acquistate cannelloni ripieni, lasagne, ravioli, prodotti impanati, paté di carni e di pesce! Per difenderci, infatti, non ci resta che leggere le etichette sulle qua- li, qualora venga usata “l’ignobile poltiglia”, dovrebbe essere presente un avviso. E qui è il caso di sottolineare il problema delle etichettature poco o nulla comprensibili ai non addetti ai lavori o difficilmente leggibili perché scritte con caratteri minuscoli: c’è solo da auspicare che il legislatore metta finalmente mano a questo problema. Per adesso, vale il vecchio detto “ciò che non fa morire, fa ingrassare”, ma soprattutto – aggiungo io – ingrassa le tasche dei più furbi, i quali, ironia della sorte, non sono nemmeno condannabili.La Pink Slime infatti, fa schifo, ma è legale!
Nel limbo della gastronomiaL’altro tema è il “formaggio analogo”. E già la definizione suona come un imbroglio. Ma se si prendono in considerazione le altre definizioni – formaggio sintetico, formaggio alternativo, imitazione del formaggio – si va di male in peggio. Questo pseudo-formaggio è un qualcosa la cui materia principale non è il latte; sicuramente il grasso, ma molto spesso anche le proteine del latte, vengono sostituiti da grassi e proteine vegetali. Anche per questa schifezza dobbiamo ringraziare gli Stati Uniti perché là è nata, centrifugando latte totalmente scremato, ovvero a cui è stata totalmente tolta una parte nobile quale il burro, con sego – grasso bovino (e di bovini negli USA ce ne sono tanti, mentre l’utilizzo del sego è limitato e il prodotto è quindi vendibile solo a prezzi molto bassi) – e poi cagliato normalmente. Questo primo formaggio sintetico si è evoluto, ed è oggi composto di acqua, oli vegetali come quello di palma, proteine di sintesi ricavate da batteri, amidi, e gli immancabili emulgatori, aromi, coloranti, sale, intensificatori di sapore. Si mescola il grasso con le proteine in polvere e l’acqua, si aggiungono gli aromi del formaggio desiderato, si confeziona e si
conserva in frigorifero. Da questa massa, con i dovuti aromi, si ricavano imitazioni di formaggi blasonati quali parmigiano, emmental, mozzarella, feta, camambert etc. Per questi surrogati non è neppure necessaria la stagionatura, vengono prodotti e utilizzati. Semplice e a buon mercato! Anche questo prodotto, come il Pink Slime, non lo si acquista al supermercato, ma ci viene propinato dall’industria per esempio nei piatti pronti e nelle pizze (per amor del vero va detto che questo prodotto è apprezzato da vegani e intolleranti al lattosio). Attenzione: non è obbligatorio dichiarare in etichetta l’uso di formaggio non formaggio. Resta però salvaguardato l’obbligo di dichiarazione degli ingredienti. Non è permesso chiamarlo formaggio ma neanche formaggio artificiale o con nomi analoghi (potremmo creare il limbo dei prodotti alimentari, che ne dite? Sembra la legittimazione dell’assurdo: esiste un quid ma non lo si può denominare. Chiamiamolo Mario!), sono permessi invece Pizza Mix o Gastro Mix (nomi di fantasia che però identificano una realtà: ogni produttore se ne inventa uno e lo mette sul mercato), con l’aggiunta di descrizioni del tipo “Condimento per Pizza a base del x% di grasso vegetale” oppure “Preparato per gastronomia”. Ripeto: acquistando un trancio di pizza o mangiando una lasagna al bar dell’angolo – come chi lavora è costretto a fare – non sapremo mai cosa contengono perché riconoscere il formaggio analogo è estremamente difficile. Se si pensa infine a quanti prodotti finiti ingurgitano gli americani diventa anche chiaro il perché della loro stazza e delle loro patologie. Sembra comunque che la UE, entro il 2014 voglia intervenire per fare chiarezza. Attendiamo fiduciosi.