Chissà quante storie potrebbe raccontare quel Castello di Diegaro se parlasse. Ma a parlare oggi sono i gestori e i clienti, tanti, che popolano le sue sale ricche di buon cibo e cordialità. Nel 1980 Bruno Illotta – quest’anno ricorre il quarantesimo – decide di lasciare uno storico ristorante di Forlì per lanciarsi in una nuova sfida a Cesena.
Il Castello non godeva di buona fama, ma la caparbietà del nuovo gestore, che poi è diventata quella dei figli, lo hanno portato all’attuale reputazione. E così quel Castello è un locale molto particolare ricco di tante diverse anime. Un ristorante dalla solida cucina legata al territorio con accostamenti non banali, ma che non devono essere una sfida per il palato. Come la veranda, dedicata alla pizza e al cocktail bar – volutamente pensato per creare quel modo di bere più rilassato -, e l’atrio che ci accoglie in una saletta in attesa di pregustare la cena, vicino allo scoppiettante caminetto oppure introducendoci nel bel giardino estivo. E per il “dopo”, per chi non vuole riprendere l’auto, o chi vuole sentirsi un “castellano”, quattro suite dal design sobrio ed elegante.
Cucina romagnola da leccare i baffi
Due diversi approcci anche nel servire il lunch e la cena, con Enrico e Lorenzo, figli di Bruno, a fare i padroni di casa ed accogliere in maniera garbata e famigliare i clienti. E poi la cucina, quella romagnola che ti fa leccare i baffi con la pasta e la piadina ancora fatta in casa al mattarello. Ma la cucina tradizionale si fonde anche con l’innovazione per farti cogliere l’emozione di stare tavola: i cappelletti ripieni di baccalà mantecati al burro di maggiorana, i maltagliati al ragù di cozze e cannellini, le tagliatelle al ragù, e la faraona allo scalogno, il maialino fondente croccante alla mostarda di susina, la costoletta di rombo con i topinambur oppure l’anguilla della non lontana Comacchio.
A noi è piaciuto particolarmente l’accostamento tra zucca brasata, tofu BBQ, misticanza, crunch di legumi e il vino al calice “Omnes Dies” Abbazia di Novacella 2018. «Quello che tanti ci riconoscono – sintetizza Lorenzo – e per noi rappresenta la vera “benzina”, è la voglia di accogliere, di fare le cose per bene, come diceva nostra madre Valeria».
Cesena da scoprire
Per il 2021 si candida a capitale italiana del libro, Cesena che fa della Biblioteca Malatestiana uno dei suoi gioielli da vedere assolutamente. Ma se siete in città, che è davvero un piccolo gioiellino nella accogliente Romagna, una passeggiata o un giro in bici nel centro storico e nell’entroterra vale davvero la pena. Anche perché la città è a misura di bici come lo dimostra la vittoria alla seconda edizione dell’Urban Award, il premio creato da Viagginbici.com e che ha l’obiettivo di innescare una gara virtuosa tra i Comuni affinché investano sulla mobilità sostenibile.
Cosa vedere… e cosa gustare?
Da non perdere a Cesena la visita a La Rocca Malatestiana, all’Abbazia di Santa Maria del Monte e a la fontana Masini e piazza del Popolo. Per il palato, ovviamente, da degustare la piadina e la pasta fatta in casa. Sappiate che in dialetto romagnolo non esiste il termine “pasta”: i primi piatti di sfoglia fatta in casa, che siano in brodo o asciutti, vengono chiamati in genere “mnestra” ovvero minestra, e poi per specificare mnestra sòta (asciutta) e mnestra int e’ brod (in brodo). Tagliatelle, passatelli, tagliolini, maltagliati con fagioli, strozzapreti, pappardelle, tortelli, ce n’è per tutti i gusti!
Le specialità romagnole
Citiamo anche il formaggio di Fossa, prodotto ottenuto dalla fermentazione in speciali fosse di stagionatura prodotto tra le vallate del Rubicone e del Marecchia; lo squaquaron, ovvero lo squacquerone, consumato spesso e volentieri insieme alla piadina romagnola. Si tratta di una variante del formaggio ravviggiolo, fatto con latte vaccino intero crudo, che viene fatto cagliare. E per i vini? Da provare, a vostro gusto, tra Albana, Sangiovese, Pagadebit, Trebbiano e Cagnino.