Oggi vi voglio parlare della ‘Nduja di Spilinga. Ricordo quando ho intrapreso il mio viaggio in India nel gennaio del 2015 mi sono sentito come se fossi a casa, ma più di ogni altra cosa come se fossi qui da sempre. Il popolo indiano è particolare, unico sicuramente come ogni altro, ma certo più di altri!
Sapori della mia terra
Qui però mi sono subito sentito a casa non solo entrando per la prima volta nel ristorante, poiché è sempre un ambiente accogliente per me, qui tra l’altro c’è un nuovo concetto di cucina open space, cucina a vista, che a me piace molto perché mi tiene ancora più a contatto con i clienti. Loro possono vedere quello che noi facciamo e noi possiamo capire guardando i loro visi se ciò che vedono gli piace, se ciò che mangiano è di loro gusto.
A parte tutto ciò la cosa che più mi ha reso felice il primo giorno è stato conoscere uno dei fornitori che sentendo da dove provengo mi ha subito mostrato che aveva della ‘nduja con se, forse si può immaginare il mio entusiasmato! Qui non ho più molti problemi nel reperire prodotti della mia terra, come invece succedeva a Mosca soprattutto dopo l’embargo. Gli indiani amano la cucina piccante e speziata, per cui io ho tanto da offrire a loro, e loro tanto da offrire e insegnare a me!
L’artigianalità fa la qualità
Utilizzandola ora qui in cucina riesco quasi a sentire lo stesso profumo che sentivo quando mi avvicinavo a Spilinga, un odore sempre più forte il particolare profumo affumicato della ‘nduja. Assistere alla preparazione di questo prodotto, considerato povero per l’origine dei suoi ingredienti, è stata un’esperienza importante che mi ha fatto riflettere sul fatto che, ancora oggi, alcuni prodotti devono assolutamente essere realizzati artigianalmente per garantire la loro genuinità.
In pratica si prepara con le parti grasse e gustose del maiale, insaporite con peperoncino piccante che da al salume quel particolare colore rosso. Viene mescolata a mano come un rito e subito dopo insaccata nel budello cieco. Ho apprezzato la cura con cui questo prodotto viene riposto nella stanza dove viene svolto il processo che determina il caratteristico e inconfondibile aroma: l’affumicatura. Come noto, il luogo di origine è Spilinga, cittadella a valle del Monte Poro dove, grazie alle condizioni climatiche e alla tipica produzione tramandata nel tempo, si ottiene questo prodotto così originale.
La ‘nduja in cucina
Da calabrese verace e cuoco creativo trovo spesso il modo di inserirla nelle mie ricette perché dona loro un tocco di temperamento. Questo perché è gustosa e piacevolmente piccante. Pur essendo un prodotto nato da ingredienti umili, oggi è tra i più rinomati, se non il più conosciuto, tra i prodotti tipici calabresi. Come una volta, per prepararla, oggi si utilizzano ancora le carni della spalla, coscia e lardello del sottopancia che vengono successivamente aromatizzate con peperoncino rosso essiccato naturalmente all’aria aperta.
La consiglio sempre a chi ama i gusti forti. Personalmente amo gustarla al naturale: spalmata su fette di pane abbrustolito ancora caldo o sulla focaccia. Per chi ama gli abbinamenti la consiglio con formaggi semi stagionati oppure, grazie al suo intenso sapore, la utilizzo come base di ragù o sughi di pomodoro. È appetitosa e ottima per la preparazione di salse d’accompagnamento a gustosi secondi di carne.
Spilinga, patria della ‘Nduja
Mi hanno raccontano che Spilinga, situata sulle pendici del Monte Poro, ebbe origine in seguito a una frana che distrusse alcuni villaggi che sorgevano in questi luoghi. Le persone che scamparono al disastro trovarono rifugio in spelonche e si unirono, pian piano, in un’unica comunità. Proprio da queste spelonche proviene il nome del paese, che deriva dal greco e significherebbe appunto “spelonca”, caverna, grotta profonda.
È stato confortante, per me, sapere che le risorse principali del Comune di Spilinga sono ancora oggi l’agricoltura e l’allevamento di bovini e di suini. Ed è grazie all’utilizzo delle carni di questi che Spilinga gode di una crescente popolarità e notevoli benefici economici grazie alla ‘nduja. Dal 2010 inoltre è anche sede del “Festival Internazionale della Lyra del Mediterraneo”.
Cavatelli di semola rimacinata al ragù di ‘nduja
Ed ecco la mia ricetta. Preparate prima tutti gli ingredienti (per 4 persone).
Cavatelli di semola
Preparate 150 gr farina di semola rimacinata, 50 gr farina 00 e q.b. acqua tiepida. Quindi impastare il tutto e far riposare l’impasto per circa 30 minuti, poi stendere la pasta formando dei cilindri non troppo sottili, tagliare a tocchetti e fare i cavatelli facendo una leggera pressione con le dita sui tocchetti di pasta.
Ragù di ‘nduja
Occorrono 100 gr di ‘nduja di Spilinga, 40 gr cipolla rossa di Tropea, 4 gr aglio, n. 1 spicchio di aglio, 20 gr olio extravergine, 6 gr basilico, 200 gr pomodorini di collina e q.b. sale. Far rosolare in pentola con l’olio extravergine l’aglio e la cipolla, poi versare il basilico a foglie la ‘nduja ed i pomodori di collina, regolare di sale e far cuocere lentamente.
Crema di melanzana
300 gr melanzana, 1 gr origano, 2 gr aglio, 20 gr olio extravergine e 2 gr basilico. Cuocere la melanzana in forno a 160°C per circa 50 minuti, poi recuperare la polpa e farla sgocciolare, frullare con tutti gli altri ingredienti fino ad ottenere una crema.
Procedimento: Alla base del piatto versare del pesto del basilico, poi la crema di melanzana e sopra adagiare i cavatelli al ragù di ‘nduja, completare con qualche foglia di basilico, una quenelle di ‘nduja e della buccia di melanzana fritta.
La Curiosità
Mi ha incuriosito il fatto che, in merito al culto alla Madonna delle Fonti, viene tramandata una storia verbalmente in quanto non esiste documentazione scritta. Si tratta di una apparizione in sogno ad una donna invitata ad andare nel luogo dove attualmente sorge il Santuario. Nel punto in cui oggi si custodisce la nicchia originale, la signora trovò la statua della Madonna.
La chiesetta fu costruita nel 1920 e col passare del tempo è divenuta, sempre più, destinazione di pellegrinaggi. Il Santuario della Madonna della Fontana, o delle Fonti, si trova poco distante dal centro abitato, in un’antica grotta eremitica. Si tratta di luoghi naturali che in epoca medievale erano scelti dagli eremiti come luogo di rifugio e di preghiera. Nella grotta di San Leo, nella valle fra Spilinga e Carìa, sono presenti frammenti di affreschi del XVI sec.