Berghem de sass è un’espressione dialettale che ben definisce Bergamo, nominata capitale della cultura 2023. Oltre a vantare splendidi gioielli architettonici, infatti, la città lombarda spicca per la tenacia dei suoi abitanti.
Una delle città più avvincenti e discrete della Lombardia e Capitale della cultura 2023 insieme a Brescia è Bergamo, che grazie al caratteristico quartiere di Santa Caterina è entrato nel circuito dei Borghi più belli d’Italia come ospite onorario. Un luogo ordinato, su misura per chi ama la storia, l’arte, le attività culturali e il buon cibo. I suoi abitanti sono il risultato di uno stile di vita essenziale. Poche parole e tanti fatti. Lavoratori instancabili, stimati ovunque per ingegno, costanza, affidabilità e spirito di adattamento. Lo scrittore e poeta Martino Vitali li descrive così, nel dialetto locale: «Prima de töt, l’è zét che la laùra, che parla poc, ma franc e sensa pura, che la ghe dà dücia al forestèr, basta che l’ righe drécc sö ‘lsò sentér (per prima cosa, sono gente che lavora, che parla poco, ma franca e senza paura, che dà subito ducia al forestiero, purché non esca dal suo sentiero)». Bergamo è due città in una.
Quella alta, in dialetto sìta alta, e quella bassa, sìta bàsa, dove i motori trainanti dell’economia sono il turismo intorno ai gioielli dell’arte e dell’architettura, ma anche le grandi industrie e i centri di ricerca tecnologica e farmaceutica. Le strade della città alta, la parte più antica, sono raggiungibili in pochi minuti grazie a una delle più antiche funicolari d’Italia costruita nel 1887. Pochi passi e ci si ritrova immersi nelle atmosfere medievali del centro. Un miracolo di armonia appare attraversando piazza Vecchia, definita dall’architetto Le Corbusier “la più bella piazza d’Europa”, e quella del Duomo, collegate tra loro dal porticato del Palazzo della ragione, risalente al XII secolo.
In questi due luoghi sono concentrate le maggiori attrazioni artistiche, meraviglie che lasciano senza fiato: oltre al palazzo, la Torre civica di oltre 50 metri, meglio conosciuta come il Campanone, la Meridiana e il Palazzo del podestà. Senza contare il Duomo con il suo museo, Fontana Contarini, Palazzo nuovo, la biblioteca Angelo Mai, la chiesa sconsacrata di San Michele all’arco, oggi emeroteca, e la magnifica Basilica di Santa Maria Maggiore, in stile romanico. È proprio il caso di dire che una sorpresa tira l’altra: anche l’adiacente cappella voluta come mausoleo da Bartolomeo Colleoni, intraprendente condottiero del ‘400 originario della zona, è uno dei tesori di inestimabile valore nella città alta. Lo stemma araldico del capitano di ventura originario di Solza raffigura due attributi maschili rossi su campo bianco e uno bianco su sfondo rosso. Già all’epoca, da queste parti, “avere gli attributi” portava con sé un ben preciso significato: essere tosti, con una marcia in più.
Un altro luogo da non perdere nella parte alta della città è l’antica chiesa di San Michele al pozzo bianco, che custodisce un autentico capolavoro: la cappella dedicata alla Beata Vergine. Gli affreschi con le scene della vita di Maria sono del pittore Lorenzo Lotto, uno dei principali esponenti del Rinascimento veneziano che ha vissuto oltre dieci anni nella città lombarda, lasciando altri capolavori nelle chiese cittadine dei Santi Bartolomeo e Stefano, di Santo Spirito e di San Bernardino. Con una seconda funicolare da Bergamo alta è possibile raggiungere il colle dove sorge il castello di San Vigilio. Uno spettacolare punto di osservazione che, con i suoi 496 metri di altezza, consente una veduta straordinaria. E, a proposito di panorami, dalla sommità della cinta muraria, riconosciuta dall’Unesco Patrimonio Mondiale, la vista può spaziare tra le vette delle Alpi Orobie e lo skyline di Milano. Sotto, si estende la città bassa. Di fronte a questo paesaggio, lo scrittore francese Stendhal definì Bergamo “il luogo più bello della Terra”.
Merita una menzione anche la cucina della zona, caratterizzata da piatti che utilizzano ingredienti locali, come i formaggi branzi e taleggio, la polenta taragna o di grano saraceno e la pasta fatta in casa. Numerose le ricette tipiche, tra le quali due tipi di pasta ripiena: gli scarpinocc de Pàr, originari di Parre, nella provincia bergamasca, e i casoncelli. Ma anche la polenta con il coniglio, variante della tipica versione con gli osei (polenta e uccelli), storicamente servita durante il pranzo domenicale.
Anche chiamata “la città dei Mille”, per via del numero di volontari bergamaschi che presero parte all’impresa garibaldina nel Mezzogiorno, questa località ha dato prova più volte di una capacità di rinascita davvero unica e ammirevole. Nel romanzo La Peste a Bergamo (1881) lo scrittore danese Jens Peter Jacobsen racconta la drammatica epidemia del 1630, da cui il tenace popolo seppe rialzarsi con slancio, dando inizio alla sua fioritura settecentesca e alla crescita economica dei secoli successivi. Una forza che viene ben espressa anche in dialetto bergamasco, una lingua a tutti gli e etti che Papa Giovanni XXIII utilizzava per mantenere la riservatezza nelle lettere più private. A partire dal motto del Gruppo artiglieria da montagna Bergamo, unità dell’esercito sciolta nel 2001: «Berghem de sass», cioè «Bergamo di sasso», città coriacea e resistente.
Foto in evidenza Scorcio di Bergamo ©Antonio Cadei