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Toh! Mi son cascati dei molluschi nel piatto

Un viaggio del gusto alla scoperta dei molluschi, i quali rivelano quanto la sopravvivenza delle prime comunità umane fosse legato alla assunzione di elementi facilmente disponibili in natura. Ancora nella Grecia antica le ostriche erano un cibo comune, come rivela l’istituzione dell’ostracismo, ossia la pratica di votare l’esilio di un cittadino scrivendone il nome sulla conchiglia.

Conchiglia da cui nasce Venere, dea della bellezza e dell’amore. I quiriti non rimangono indifferenti al gusto dei molluschi: spetta a Varrone descriverne le tecniche d’allevamento e ad Apicio illustrare l’uso delle ostriche in cucina, lavate nell’aceto e conservate in vasi sigillati con la pece e delle salse adatte al condimento dei molluschi (pepe, motellina, prezzemolo, menta, cumino e cassia).

Tanto importanti che anche l’arte se n’è ampiamente occupata. Quel grande cannocchiale puntato sulla civiltà romana che sono gli scavi di Pompei riporta una Venere adagiata in una conchiglia e acconciata in maniera inequivocabilmente divina, preceduta da un putto che regge lo stendardo dell’amore.

Successivamente si sono cimentati nell’illustrazione di questa leggenda Botticelli, Lorenzo Lotto e tanti altri. Nella pittura fiamminga del Cinquecento invece si attribuisce simbolicamente ai mitili il valore di afrodisiaci e tali echi arrivano sino ai giorni nostri nelle nature morte. In verità ancora oggi certa letteratura accompagna al valore nutrizionale di ostriche, mitili e aragoste anche quello afrodisiaco, mai scientificamente provato.

Venere di Botticelli
Pic: Uffizi.it

Cozze “d’acqua dolce”

L’utilizzo dei mitili nella cucina italiana si concentra lungo le coste delle Regioni marinare dai bassi fondali: dal Veneto alla Puglia passando per Marche e Campania ed esistono veri e propri giganti societari che garantiscono il perpetuarsi di una storia millenaria.

Come nel delta del Po, dove il Consorzio Cooperative Pescatori del Polesine è il numero uno in Italia nel settore della molluschicoltura. Vi appartengono 14 cooperative, 7 sono invece le installazioni in mare dove si coltivano i mitili, 7000 gli ettari lavorati per una raccolta di 80 mila quintali di vongole veraci e 50 mila di mitili. Tra questi la cozza di Scardovari Dop.

Pic: pixabay

Tanto l’ambiente è idoneo allo sviluppo di tale fauna, grazie all’apporto nelle lagune di acque dolci fluviali ricche di nutrienti disciolti, che nel 2013 si è raggiunto l’ambito obiettivo del riconoscimento comunitario. La bassa salinità delle acque della laguna permette, infatti, di avere un prodotto dal sapore aggraziato, meno salato di quello proveniente dagli allevamenti in mare.

Il seme viene raccolto raschiando le superfici sommerse, pescando su banchi naturali nella Sacca di Scardovari o catturando la semina che si fissa su corde o appositi collettori posizionati negli allevamenti in mare prospicienti il Delta del Po.

La raccolta naturale del seme della cozza avviene quando misura tra 1 e 3 cm, poi segue la semina e l’accrescimento del mitile. La raccolta avviene tra aprile e settembre, quando la taglia ha raggiunto almeno i 5 cm di lunghezza.

Il prodotto calibrato viene infine riposto in appositi sacchi e identificato con un’etichetta inserita all’interno del sacco stesso che riporta il numero identificativo del produttore. Da qui si avvia a uno dei quattro punti di sbarco per verificarne le caratteristiche e successivamente alla depurazione presso l’impianto di Scardovari, tecnologicamente avanzato. Un sistema computerizzato, infatti, riconosce ad esempio per quante ore gli animali sono stati depurati.

L’acqua proviene dalla laguna, arriva alle vasche di decantazione e viene filtrata con depurazione meccanica: per questo i molluschi non subiscono alcun tipo di affaticamento.

Coltivatori del mare

Bisogna viaggiare dal Veneto alla Sardegna, se si vogliono conoscere le aragoste più gustose e prestigiose del mondo.

Si deve probabilmente a Gianni Usai se oggi ancora si possono degustare le aragoste rosse, strabilianti se cucinate alla catalana, intorno nell’area di Alghero (condite con una salsa di olio extravergine e limone presentandole spolpate con il corallo del crostaceo a colorare il piatto).

Aragosta alla Catalana
Pic: giallozafferano.it

Dopo l’esperienza di operaio alla Fiat, Usai torna in Sardegna e a metà degli anni Ottanta partecipa alla fondazione della Cooperativa Su Pallosu, impegnando la stessa a praticare tipi di pesca rispettosi dell’ambiente utilizzando nasse, palamiti e reti a maglie convenienti per non trattenere pesci di piccola taglia.

In quegli anni la pesca dell’aragosta sta subendo un tracollo verticale a causa del saccheggio come stava avvenendo negli stagni di Cabras per le uova di muggine.

La raccolta di aragoste rosse era passato in pochi anni da 13 tonnellate a meno di una tonnellata l’anno. L’obiettivo doveva essere quello di sensibilizzare i pescatori a diventare… coltivatori del mare al pari probabilmente di quei primi estrattori di risorse ittiche di cui scrivevamo all’inizio.

Tra il 1987 e il 1988 prende i primi contatti con l’Università di Cagliari costruendo insieme al mondo accademico percorsi di prelievo selettivo e rispettoso dell’ambiente: «In gioco non c’era la vita del pesce, ma del pescatore», dice. Così, anche grazie al sostegno di Legambiente, la cooperativa si impegna in progetti di pesca ecocompatibile che ottengono finanziamenti comunitari per l’acquisto di nuove imbarcazioni, assegnando sette barche in disarmo ad altrettanti pescatori che non ne avevano in proprietà.

Il prelievo misurato e la coltivazione estensiva delle piccole aragoste è stata alla base di una sinergia fra scienza e territorio che ha permesso in pochi anni di raggiungere risultati insperati, con un incremento della presenza di aragoste del 550%. Sullo stesso modello altre 13 aree della Sardegna hanno dato vita a zone di ripopolamento.

Oggi l’aragosta rossa è ricercatissima e ambita sulle più esigenti tavole dell’isola e non solo; la si accompagna con un Vermentino di due anni, caldo in alcol, in grado di riproporre una dolce mandorla al pari della polpa del crostaceo.

Polpose vongole veraci

Fra i molluschi, il prodotto di punta che esce dall’impianto di Scardovari e che raggiunge il consumatore dopo aver seguito gli accurati processi di lavorazione e confezionamento del Consorzio è la vongola verace.

La vongola verace si riconosce dalle altre specie simili per la forma più allungata e l’accentuata marcatura della superficie esterna delle valve.

Le vongole vengono prodotte tra la terra ferma e lo scanno nelle zone dove la circolazione dell’acqua è abbondante, tramite metodo estensivo. La raccolta di questi molluschi avviene esclusivamente a mano, tramite rastrelli azionati a mano o a piedi per dissotterrarle, lavarle e insaccarle.

La pesca avviene durante tutto l’anno, rendendo il prodotto sempre disponibile. Dall’elevato valore nutritivo e altamente digeribile, la vongola verace è ricca di sali minerali, proteine e vitamine.

Anche in questo caso la bassa salinità delle acque si traduce in moderato contenuto di sodio, esaltandone la polpa.

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