La transumanza rappresenta uno dei patrimoni culturali più affascinanti dell’Italia rurale. Questa pratica millenaria di spostamento stagionale delle greggi ha dato vita anche, e spesso lo si ignora, ad un universo culinario ricco di sapori autentici e preparazioni uniche, tramandate di generazione in generazione lungo i sentieri della pastorizia nomade.

Le origini
La transumanza nasce dalla necessità pratica di trovare pascoli freschi per il bestiame durante le diverse stagioni. I pastori, spostandosi dalle pianure alle montagne e viceversa, hanno sviluppato una cucina di necessità che si è trasformata nel tempo in tradizione gastronomica. Ogni tappa del viaggio transumante portava con sé ricette specifiche, adattate alle risorse locali disponibili e alle esigenze di conservazione degli alimenti durante i lunghi spostamenti.
I tratturi, antiche vie della transumanza che attraversano l’Italia centro-meridionale, sono diventati veri e propri corridoi del gusto, dove ogni borgo conserva gelosamente le proprie specialità legate al mondo pastorale.
I formaggi: protagonisti della tavola transumante
Al centro della cucina dei pastori troviamo indiscutibilmente i formaggi. Il Pecorino Romano, il Canestrato Pugliese, la Ricotta di pecora e il Caciocavallo, sono solo alcuni dei tesori caseari nati dall’arte casearia transumante. La produzione di questi formaggi seguiva rituali precisi: la mungitura all’alba, la lavorazione del latte ancora caldo, l’uso di caglio naturale e l’affinamento in grotte naturali o costruzioni in pietra lungo i percorsi di pascolo.
La ricotta fresca, consumata ancora calda dopo la lavorazione del formaggio, rappresentava spesso l’unico pasto sostanzioso della giornata per i pastori. Servita con pane casereccio e un filo d’olio extravergine d’oliva locale, costituiva un pranzo completo e nutriente.

Pane, pasta e preparazioni da viaggio
La cucina transumante ha sviluppato una serie di preparazioni pensate per resistere ai lunghi viaggi e fornire energia ai pastori. Il pane casereccio, cotto in forni comuni nei borghi di sosta, poteva durare settimane grazie alla sua crosta spessa e alla mollica compatta. Le “sagne” o “lagane”, paste fresche tirate a mano, venivano preparate con farine locali e condite semplicemente con olio, aglio e peperoncino.
Le “pittule” pugliesi, piccole frittelle di pasta lievitata, rappresentavano un comfort food perfetto per le fredde serate in montagna. Preparate con ingredienti semplici come farina, acqua, lievito e sale, potevano essere arricchite con olive, pomodorini secchi o alici quando disponibili.
Carne e conserve: l’arte della sopravvivenza
Questa cucina itinerante prevede anche importanti tecniche di conservazione della carne. La “salsiccia sott’olio”, la “soppressata” e il “capocollo” nascono proprio dalla necessità di conservare la carne senza refrigerazione. Gli insaccati venivano preparati durante le soste invernali e rappresentavano una fonte proteica fondamentale durante i mesi di viaggio.
L’agnello e il capretto, cucinati allo spiedo su fuochi di legna aromatica durante le feste pastorali, erano al centro di veri e propri banchetti comunitari che rinsaldavano i legami tra le famiglie di pastori e celebravano i momenti più importanti del calendario transumante.

Dolci e rituali festivi
Anche la pasticceria tradizionale porta i segni della transumanza. I “mostaccioli”, biscotti al miele e spezie, i “taralli dolci” e le “cartellate” natalizie erano preparazioni che potevano durare a lungo e venivano condivise durante le feste religiose celebrate lungo i tratturi.
Il miele, prodotto dalle api che seguivano naturalmente le fioriture lungo i percorsi di transumanza, era l’ingrediente dolcificante principale, utilizzato sia nella preparazione di dolci che come medicina naturale per curare mal di gola e raffreddori durante i mesi freddi.
Le bevande
Il vino locale, trasportato in otri di pelle, accompagnava i pasti principali e serviva anche per la preparazione del “vino cotto”, bevanda energetica ottenuta facendo bollire il mosto con spezie e frutta secca. L’acquavite di fichi o di vinaccia, distillata artigianalmente, era considerata un medicinale prezioso e veniva consumata con parsimonia nelle occasioni speciali.
Un patrimonio da preservare
Oggi la transumanza è riconosciuta dall’UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, ma le tradizioni culinarie ad essa legate rischiano di andare perdute. Molti ristoratori illuminati e produttori artigianali stanno tuttavia riscoprendo queste ricette ancestrali, riportandole sulle tavole moderne con rispetto e autenticità.
Visitare i territori della transumanza significa intraprendere un viaggio nel tempo, dove ogni piatto racconta una storia di resilienza, adattamento e amore per la terra. È un’esperienza che coinvolge tutti i sensi e che permette di comprendere come la necessità abbia saputo trasformarsi in arte culinaria, creando un patrimonio gastronomico unico al mondo che continua a nutrire corpo e anima di chi sa apprezzarne l’autenticità.