Nella gastronomia italiana, ed in particolare nelle tradizioni culinarie regionali, il Merluzzo compare largamente nelle sue due forme principali di conservazione salato (Baccalà) e seccato (Stoccafisso). C’è da evidenziare subito un problema terminologico. In tutta Italia si chiama Baccalà il merluzzo conservato per salagione e si chiama Stoccafisso o nelle varianti dialettali, come Stokke o Piscistoccu, quello conservato per essiccamento. Soltanto nell’area di cultura veneta lo Stoccafisso diversamente dal resto del paese viene chiamato Baccalà.
Da non confondere con il Merluzzo
Inoltre nella Lombardia nelle Marche un tempo il Baccalà veniva chiamato semplicemente Merluzzo, per cui a volte molte ricette, che sono intitolate al merluzzo, si riferiscono al Baccalà. Oggi si indica comunemente con il termine Baccalà il merluzzo salato e con quello di Stoccafisso il merluzzo seccato. Infine con il termine Merluzzo si intende il merluzzo fresco o surgelato, che è comparso nei mercati italiani soltanto in tempi più recenti grazie alle comunicazioni più veloci e alle moderne tecniche di conservazione.
Un pesce meraviglioso
Questo straordinario pesce, di origine umile e popolare, ma con una carne saporita, si è imposto sulle tavole della penisola. La sua diffusione è cresciuta in particolare quando dopo il Concilio di Trento del 1517 nacque il precetto religioso del “mangiar di magro”. Un prete di origine svedese, Olao Magno, stanziatosi a Roma da tempo, in un piccolo libro indicò “un pesce detto merlusia, essiccato ai venti freddi”, come un piatto perfetto per i venerdì di magro. Si intensificarono così i commerci di questo prodotto già iniziati nel 1400 dal commerciante veneziano Pietro Querini. Baccalà e Stoccafisso entrarono così con decisione nella nostra storia gastronomica. Inizialmente come piatto umile e povero, poi conquistando i palati più fini, fino ad arrivare nei piatti degli chef gourmet di tutto il mondo. Nelle nostre tradizioni regionali occupa a pieno titolo un posto di primo piano. Ed in particolare è rimasto il grande protagonista di molti piatti da consumare in tempi di Quaresima. E la Liguria non fa eccezione.
La Buridda di Stoccafisso, piatto tradizionale del giovedì santo
La “Buridda” è una delle due classiche zuppe di pesci Liguri, l’altra è il “Ciuppin”, una preparazione diversa perché il pesce non è a pezzi, ma sminuzzato finemente e amalgamato con il sughetto di pomodoro. Il nome Buridda condivide l’origine araba con il termine provenzale “Bourride”, con il quale si indica la più famosa zuppa di pesce del sud della Francia. Da non confondere assolutamente con la “Burrida”, che è un modo sardo di condire i pesci lessati della famiglia degli squali come il Palombo e il Gattuccio.
Una ricetta antica
Per la preparazione della Buridda le qualità di pesce da impiegare sono diverse: tra gli indispensabili la tradizione indica lo Scorfano, il Palombo, il Gronco e la Seppia ed inserisce tra quelli consigliati altri pesci di scoglio, come le Boghe, l’Ombrina e la Rana pescatrice. Nella ricetta riportata da “La vera cuciniera genovese” di Emanuele Rossi, viene lasciato campo aperto nella scelta del pesce.
Le varianti più importanti riguardano l’utilizzo dei pesci
In realtà questa zuppa nella pratica familiare veniva probabilmente fatta con una o due qualità di pesce soltanto, messe in cottura in tempi diversi: ad esempio prima le seppie più dure e dopo gli scorfani più teneri in modo da portare in tavola il pesce cotto, ma ancora intero. Sulla ricetta più antica si sono innestate numerose varianti: nel soffritto i pinoli e capperi pestati sono stati sostituiti dai funghi secchi; per aromatizzare si sono utilizzate spezie diverse come cannella, chiodi di garofano e pepe; si è aggiunto il vino bianco e così via.
Un piatto diffuso in tutta la regione
Oggi per “buridda” si intende comunemente un misto di pesce tagliato a piccoli pezzi e cucinato in umido con olio d’oliva, pinoli, funghi, capperi e altri aromi. E nelle preparazioni più recenti si è previsto anche l’uso di altri pesci come le Triglie, le Seppie, i Moscardini con la presenza di svariate verdure come i piselli, i carciofi e le bietoline. Nei vecchi libri di cucina è stata registrata anche una versione fatta con il solo stoccafisso, la “Buridda di stoccafisso”, oggi la più diffusa in tutta la regione, che non deve essere confusa con “Lo stoccafisso in umido alla genovese”, che prevede tassativamente la presenza di olive e patate.
Le varianti con le Seppie
E proprio le varianti con un solo tipo di pesce, in particolare stoccafisso e seppie, sono quelle oggi presenti nelle proposte di molti ristoranti. La buridda di seppie è conosciuta anche con il nome di “Seppie con i piselli” oppure come “Seppie e carciofi”, e in provincia di Savona se ne è diffusa una particolare versione, che prevede la sostituzione di funghi e carote con bietole e olive.
Una tradizione radicata nel territorio di tutta la regione
È quindi un piatto tipico ligure, che si può gustare tutto l’anno. Nella provincia di Imperia, ad Albissola Marina e nella provincia di Savona ed a Monterosso (SP) si mangia in particolare il giovedì santo, che segna la fine della Quaresima. Era un piatto unico da osteria particolarmente adatto per i camalli del Porto di Genova, per i quali lo stoccafisso poteva rappresentare un tempo anche una parte anche della paga. Nella zona di La Spezia la si prepara principalmente col Gronco invernale, un pesce dal sapore più marcato e che si usa anche per condire gli spaghetti. Il tempo di preparazione, che dipende dalla scelta degli ingredienti può andare da 60 minuti a oltre due ore.
La ricetta di Cinzia Chiappori
Da assaggiare all’Osteria del Tempo Stretto di Albenga, ma anticipiamo gli ingredienti: due baffe di stoccafisso, una cipolla, due gambi di sedano, tre spicchi di aglio, una manciata di funghi secchi, un pugnetto di pinoli, un rametto di rosmarino due foglie di alloro, un cucchiaio di concentrato di pomodoro, alcune acciughe sotto sale, prezzemolo, patate di montagna, peperoncino, pepe, olive taggiasche, vino Pigato e facoltative un mazzetto di bietoline.
Preparazione
Innanzitutto in una pentola larga e bassa metto lo stoccafisso a pezzi non piccoli con una foglia di alloro e qualche grano di Pepe. Lo copro di acqua e lo porto a bollore. Dopo alcuni minuti, quando le lische e la pelle si staccano facilmente, spengo il fuoco, scolo lo stocco e mantengo l’acqua di cottura che mi servirà per cuocere le patate pelate a fette a cubetti. Pulisco per bene e delicatamente il pesce, butto la lisca e le spine e conservo la pelle. Preparo ora il fondo di cottura. Trito grossolanamente sedano, cipolla, rosmarino, pinoli e aglio e li metto in una grande pentola bassa e larga. Aggiungo l’olio Evo (si dice che lo stocco vive nell’acqua, ma muore nell’olio) quindi l’olio deve essere piuttosto abbondante. Soffriggo dolcemente e aggiungo le acciughe fino a quando tutto sarà morbido e ben amalgamato. Per non bruciare la preparazione, se serve, aggiungo un po’ d’acqua del brodo dove ho cotto il pesce e dove ora stanno cuocendo le patate. Queste ultime dovranno essere scolate ancora al dente.
Aggiungo un cucchiaino di concentrato di pomodoro una foglia di alloro e la pelle del pesce tritata finemente. Dopo qualche minuto aggiungo il pesce e lascio cuocere ancora per una decina di minuti. Aggiungo le patate nel tegame e le lascio insaporire ancora per due minuti. Quindi aggiungo le olive taggiasche e ancora una manciata di pinoli, sale e un po’ di pepe. La buridda è pronta ed il suo forte e inconfondibile odore sarà ovunque. Si potrà si potrà gustare anche nei giorni successivi perché riposando tutti gli ingredienti si armonizzano ancora meglio fra di loro.
Da gustare con Ormeasco Sciac-trà
E per finire vi suggeriamo un positivo abbinamento prevede un rosato della Riviera ligure di Ponenete come l’ottimo e profumato Ormeasco Sciac-trà della cantina Nirasca di Pieve di Teco (IM)