Louis Vuitton e Cova, Prada e Marchesi. Fashion e pâtisserie, un incontro “da leccarsi i baffi” che si è consumato sulla piazza più gourmet e trendy d’Italia, quella di Milano. Entrambi i casi sono però solo due ciliegine sulla torta di un fenomeno che da qualche anno coinvolge le maison internazioni del lusso per le quali il food è ormai terra di conquista I dolci ingolosiscono i colossi della moda, che negli ultimi anni sembrano essersi accorti delle straordinarie potenzialità del comparto alimentare d’alto livello. È il capoluogo lombardo ad aggiudicarsi la palma di “salotto gastronomico” d’Italia, come ha sancito il Milano Fashion Global Summit 2014 dal titolo Fashion is Food, Food is Fashion, che ha sottolineato l’importanza del Made in Italy per entrambi i settori e il ruolo della metropoli meneghina come “capitale morale” anche in fatto di cibo. La “grande abbuffata” delle maison del lusso nella pâtisserie di qualità ebbe inizio nel 2013 con Lvmh che a sorpresa acquisì l’80% di Cova, fiore all’occhiello di Via Monte Napoleone, per una somma pari 32,8 milioni di euro: per allettare Monsieur Arnault, gli furono presentati sul vassoio i 7,2 milioni euro di ricavi che l’anno prima la realtà dolciaria aveva conseguito, dopo essersi proiettata decisamente verso l’internazionalizzazione (con franchisee nelle prospere città asiatiche di Shanghai, Hong Kong, Tokyo). Anche Prada aveva corteggiato a lungo, con l’acquolina in bocca, lo storico caffè meneghino (per il quale era arrivata a offrire oltre 12 milioni), ma il gruppo francese aveva dimostrato maggior appetito, spuntandola alla fine, malgrado qualche strascico giudiziario dal gusto un po’ amaro. Così, la maison di Miuccia e Patrizio Bertelli rintuzzò per un po’ la fame, o meglio “la voglia di qualcosa di buono”, come suggeriva una celebre pubblicità, per poi confermare il suo desiderio di praline e panettone con l’acquisizione, nel marzo 2014, della blasonata pasticceria Marchesi in zona Magenta, per cui sborsò 7,7 milioni di euro, rilevando i 4/5 delle quote. Il caso PradaSono i dolici, dunque, la nuova frontiera del lusso per i grandi gruppi in ottica di diversificazione. Prada nel 2015, anno dell’Expo, non solo ha inaugurato il proprio museo, ma ha anche pigiato l’acceleratore sul progetto food, rafforzando la presenza del marchio Marchesi sia a Milano sia all’estero. In effetti la società ha previsto aperture “zuccherine” a Dubai, Hong Kong, Tokyo e, ancora nel capoluogo lombardo, in Via Monte Napoleone (vernissage celebrato nel settembre scorso)… tanto per ingaggiare un duello che sa di derby con Cova-Lvmh e consumare così la sua soave vendetta. La ghiotta Prada ha pure “sfornato” l’idea di esportare la sua alta gastronomia a Londra, da Harrods, e poi, sempre a Milano ha messo in cantiere un ristorante chic in partnership col “solito” Marchesi in Galleria Vittorio Emanuele (nello spazio ex-McDonald’s, per cui Prada ha vinto l’appalto del Comune, in chiave di riqualificazione della prestigiosa location). Inoltre, grazie all’Expo che ha suscitato un benefico fermento nel mondo della ristorazione ambrosiana con nuove opportunità di rilancio del cibo, la boutique Prada in Galleria ha pensato bene di ospitare una bottega di dolci, con offerta aggiuntiva di piatti salati, per colazioni, spuntini e conversazioni. L’intenzione, come ha spiegato l’amministratore delegato Bertelli, è farne un punto di ritrovo globale, riconoscendo dunque al food un potere di attrazione speciale. Il top-manager ha puntualizzato però di non voler avviare un vero e proprio business di ristorazione… Insomma, una farcitura e via, senza dimenticare di passare all’incasso (in termini finanziari e di immagine)! Lo stesso Bertelli infatti ha precisato: «L’operazione Marchesi si inserisce nell’ambito di un progetto per solleticare l’interesse del consumatore non solo nella moda, ma anche in settori collaterali. Più che creare una sorta di Prada food, è più giusto affidarci a un marchio esistente». Un brand, quello di Angelo Marchesi srl, che nel 2012 aveva mietuto ricavi per 2,4 milioni di euro. Il numero uno del gruppo Prada ha quindi puntualizzato: «Il marchio deve avere visione più globale e il food ci aiuta… Speriamo che la gente voglia mangiare panettone e tortellini e inizi a rilassarsi. Dopo la crisi inizia sempre una fase di ripresa». Prada ha tenuto a comunicare che il proprietario della pregiata pasticceria fondata nel 1824 continua a essere coinvolto nella gestione della società in qualità di amministratore delegato per presidiare la qualità dei prodotti. Qualcuno potrebbe pensare che “l’affare del pasticcino” sia una sorta di capriccio da stilista, deprecando il fatto che un altro pezzo di storia milanese ceda alle lusinghe del mercato e, nella fattispecie, del Fashion System. Tutt’altro: il rilancio di Marchesi e il suo graduale sviluppo internazionale rientrano nei piani strategici di una maison che nel corso del tempo ha costantemente dato prova di essere una delle realtà italiane d’eccellenza, in grado non solo far progredire l’economia del Paese, ma anche di stimolare un “rinascimento” della vita culturale. Total lifestylePare, comunque, che altre “mitiche” pasticcerie milanesi abbiano saputo resistere alle offerte assai lusinghiere di intraprendenti colossi haut de gamme, almeno finora. Il discorso vale in primis per Sant’Ambroeus in Corso Matteotti (30 dipendenti, 3 milioni di fatturato) che sarebbe entrata nel mirino “degustativo” del gruppo triestino Illy, “re del caffè”, disposto a sborsare 20 milioni di euro per il 100% della società: tuttavia la notizia non è stata confermata. Rende alla perfezione, però, l’idea, di quanto i dolciumi d’alto lignaggio facciano gola a chi opera nell’universo del lusso. A questo punto, come economista, non posso esimermi da un breve commento sulla progressiva diversificazione che molte maison stanno portando avanti, per offrire un modello di lifestyle completo. L’operazione è destinata al successo se sa trasmettere ai consumatori la brand consistency, ovvero la coerenza del marchio con i suoi valori ed il suo stile. L’entrata nel settore food assicura alle aziende del lusso la possibilità di intercettare un target più ampio, attirandone l’interesse e incrementando i profitti, tanto più in tempi non facili per l’economia, caratterizzati da rivoluzioni digitali e repentini mutamenti di tendenze. Le griffe, però, non devono mai perdere di vista la loro storia e soprattutto la conoscenza acquisita del pubblico di riferimento; altrimenti rischiano di smarrire la loro “missione”. In pratica, devono evitare di “annoiare” i consumatori sovraesponendosi, così da non perdere il legame che li unisce, fatto soprattutto di emozioni.
Menu griffatiMilano ha calamitato gli interessi culinari di buona parte delle star della moda, a partire da Giorgio Armani, che vanta ben tre locali (il giapponese Nobu, l’Emporio Armani Caffè, il ristorante e lounge bar all’interno dell’Armani Hotel), Roberto Cavalli con il suo gaudente Just Cavalli, Trussardi che possiede lo stellato ristorante alla Scala (supervisionato da Carlo Cracco), oltre al Trussardi Cafè (mentre la sua dolce metà Michelle Hunziger addentava fette di formaggio svizzero, Tomaso Trussardi ha annunciato aperture internazionali a Dubai e alla Fiera di Colonia, seguendo il trend cosmopolita di alcuni colleghi). All’insegna del connubio food-entertainment si sono mossi anche altri big quali Gucci e Bulgari, che offrono sfiziosi spuntini e aperitivi rispettivamente in Galleria Vittorio Emanuele e all’interno dell’hotel in via privata Fratelli Gabba. Anche la griffe DSquared2 dei gemelli Dean e Dan Caten ha aperto con successo un ristorante per fashion gourmet (il Ceresio 7 all’ultimo piano del palazzo Enel, con due piscine ai lati), mentre il vulcanico Marc Jacobs si è “accomodato” ai tavoli dell’omonimo mondanissimo locale, in Piazza del Carmine, che propone stuzzichini e drink must-have. Cntrocorrente Dolce&Gabbana che , dopo 8 anni di attività, hanno ceduto il ristorante Gold all’estroso chef Filippo La Mantia, sebbene non abbiano rinnegato del tutto la scelta food, concentrandosi piuttosto sul Martini Bar Dolce&Gabbana di Corso Venezia.