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Natale a tavola. L’Italia nel piatto

Dalla minestra maritata ai knödeln in brodo, dall’abbacchio al capitone. Un viaggio tra le specialità. E’ inevitabile che, essendo una penisola lunga e stretta, e con due isole che sono continenti di biodiversità alimentare, l’Italia marchi le proprie differenze e peculiarità anche intorno alla tavola di Natale. Che quest’anno sarà meno affollata del solito, per rispetto delle prescrizioni contro il Covid-19, ma comunque ricca di specialità tipiche.

Come da tradizione, al Centro e al Sud si festeggia con il cenone della Vigilia, mentre al Nord è d’obbligo il pranzo del 25. Un’abitudine che influisce non poco sulla selezione dei cibi: il 24 si privilegiano piatti a base di pesce – dove il protagonista è quasi sempre il baccalà – e molluschi, mentre il giorno dopo nei piatti dei commensali regna la carne.

Capitone, a Napoli fritto, a Bari arrosto

La sera della Vigilia, soprattutto al Centro-Sud, c’è un convitato particolare: il capitone, l’esemplare femmina dell’anguilla. Roma lo celebra in forma di frittura insieme a carciofi, zucchine e cavolfiori. Anche a Napoli è servito fritto, ma dopo la minestra in brodo o gli spaghetti alle vongole. A Bari si usa farlo arrosto, aromatizzato con foglie d’alloro, nel Foggiano viene impanato come fosse una cotoletta e versato in una padella con abbondante olio bollente.

Capitone @lamiapuglia

A Comacchio (Ferrara), uno dei maggiori luoghi di cattura dell’anguilla, è d’obbligo il risotto, mentre nella Lombardia orientale e in Veneto fa parte degli antipasti del 25, alla brace e marinata in aceto. All’anguilla e al capitone è a dato un valore simboli – come allontanare la cattiva sorte esorcizzando il serpente del male.

Gli antipasti aprono la maratona del pranzo di Natale

Ma sono gli antipasti ad aprire normalmente le danze intorno alle tavole imbandite e decorate. In particolare in Piemonte, dove giocano un ruolo centrale: a Torino finiscono in bella mostra il vitello tonnato e la battuta cruda di Fassona, spesso seguiti dalla lingua salmistrata condita con bagnetto verde, una salsa preparata assemblando prezzemolo, aglio e olio extravergine d’oliva.

In Emilia sono i salumi ad avviare il banchetto: lo gnocco fritto, composto dalla caratteristica pasta di pane, fa da accompagnamento a tre Dop piacentine – pancetta, coppa e salame – o al crudo Dop di Parma o Modena.

Prosciutto toscano Dop e finocchiona Igp sono invece i più apprezzati in Toscana, dove antipasto vuol dire soprattutto crostini ai fegatini di pollo o di cacciagione. A Napoli nessuno si tira indietro di fronte a un piatto di affettati accompagnato da mozzarelle e provola di Agerola. Elementi comuni sulle tavole natalizie sono i brodi.

Così alla minestra di broccoli e arzilla, piatto romano della Vigilia, segue il giorno dopo la stracciatella, una minestra a base di uova cotte nel brodo di carne. Alla jota triestina, una minestra di origine mitteleuropea a base di fagioli, crauti e patate, replicano invece marubini, tortellini, anolini e cappelletti in brodo di carne cremonesi, emiliano-romagnoli e marchigiani.

Knödeln in brodo – ©GialloZafferano

E alla minestra maritata partenopea (che utilizza verdure e carni diverse) rispondono i Knödeln in brodo delle vallate altoatesine, grandi gnocchi di pangrattato, speck, farina, erba cipollina e uova. Anche in questo caso si tratta di un cibo simbolico, perché imbandire la tavola con il brodo significa essere stati capaci di sconfiggere la fame.

Ma il piatto natalizio per antonomasia è la seconda portata. L’abbacchio alla scottadito o al forno con patate è il re della Capitale. L’agnello si ritrova nel fritto all’ascolana, sotto forma di costolette panate (con cremini, olive farcite e verdure), in Sardegna accompagnato dai carciofi spinosi Dop, in Lunigiana cotto nel testo con il rosmarino.

Nella Lombardia orientale, l’arrosto d’agnello in casseruola entra in concorrenza con il capretto e l’immancabile polenta, sapida e dura. Altra icona del Natale è il cappone, destinato a essere lessato per il brodo o infornato per sontuosi arrosti, a volte ripieni di marroni, come nel Mugello, o di pangrattato, formaggio stagionato grattugiato, uova e fegatini soffritti nell’isernino. Zamponi e cotechini sono nati probabilmente in Pianura padana, ma durante le festività natalizie si trovano ovunque.

La cucina degli eccessi li ha eletti a indispensabili protagonisti delle tavole di fine anno. Anche gli accompagnamenti sono tipicamente natalizi: oltre al purè di patate e alle lenticchie si accosta spesso la mostarda.

Per finire, la frutta secca, che non manca mai durante le Feste. Da sgranocchiare a ne pasto o usare come farcitura di dolci, insieme a frutta candita e uva passa. È il caso del certosino di Bologna (e del corrispondente lievitato, il panone), pagnotta impastata con mandorle, pinoli, canditi, cioccolato fondente e spezie. O della bisciola della Valtellina, pagnotta dolce con chi secchi, uva sultanina e frutta secca.

I dolci nel piatto a Natale

In Friuli Venezia-Giulia il pranzo termina con la gubana, pasta dolce lievitata farcita con noci, uvetta, pinoli, zucchero, scorza di limone e grappa. Assai caratteristica la farcitura delle ostie di Agnone, in Molise: cacao, miele, cioccolato fondente, mandorle, noci e spezie.

Proprio la presenza di spezie, un tempo merce assai costosa, indica l’opulenza dei dolci natalizi, dal pampepato di Ferrara (privo di frutta secca) al panforte di Siena Igp (ricco di mandorle, scorze di agrumi candite e spezie). Senz’altro il più profumato è il pandolce di Genova, preparato con cedro candito, acqua di ori d’arancio, uva sultanina, semi di nocchio, pinoli e zibibbo.

Difficilmente si rinuncia a una fetta di panettone, che non fa più rima solo con Milano: è diventato infatti il dolce natalizio d’Italia, stimolando la creatività e l’ingegno di pasticceri e fornai, capaci di farcirlo e glassarlo con i più fantasiosi ingredienti. Il buon panettone tradizionale ha la forma a cupola perfettamente arrotondata, che indica lievitazione e cottura perfette.

Il colore bruno-dorato senza bruciature è un altro indizio per un buon acquisto, in ne il profumo di burro e canditi ci fa scoprire se la pasta, che deve essere soffice e ben alveolata, è conforme con l’aspetto esterno.

In Campania, nel napoletano in particolare, non è Natale senza strufoli. Un’infinità di palline di pasta aromatizzata all’anice viene fritta nell’olio o nello strutto, poi avvolta nel miele caldo e decorata con i diavoletti, confettini colorati. Anche il reggino in questo periodo regala delizie con le ‘nacatole, piccole ciambelle croccanti al profumo di anice.

Replica la Puglia con il suo caratteristico dolce, le cartellate: nastri di sottile pasta sfoglia, fatti con olio e vino bianco, vengono avvolti su se stessi e fritti. Poi le rose vengono impregnate di vincotto o melassa di fichi, per rendere ancora più dolce il Natale italiano.

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