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Le masserie pugliesi tra vigneti, frantoi e ospitalità

C’è un’ora, in Puglia, in cui la luce si fa miele e tutto rallenta. In quell’ora le masserie non sono solo pietre: sono il respiro antico di una terra, memorie incise nel paesaggio che si sono evolute senza perdere la loro anima. Continuano ad accogliere e a raccontare la storia, insegnando il tempo a chi le attraversa. Questo viaggio attraversa le trame di vigna di Crispiano, la pietra chiara di Ostuni e il cuore contadino di Galatone: tre corti per leggere una terra, dal Parco delle Gravine alla Valle d’Itria fino al Salento ionico.

Le masserie pugliesi scolpiscono il paesaggio fra i filari del Sud

Per capire una masseria bisogna entrare nel suo cortile. Lì convergono casa, lavoro e rito: gli alloggi, le stalle, i depositi, il forno, spesso troviamo anche il frantoio e i locali per la lavorazione dei prodotti, talvolta una cappella. È un organismo agricolo completo, nato per produrre e resistere. Il termine appare nei documenti medievali e nei secoli moderni si stratifica in molte forme: masserie di campo (grano e colture), masserie d’allevamento (ovicaprini, suini, talvolta equini) e masserie miste, dove coltivazione e allevamento si tengono per mano. In Puglia troviamo, nate tra Cinquecento e Settecento, anche masserie-fortezza: corti chiuse, torri, colombaie, per difendersi e custodire scorte e persone. Non uno stile, ma una funzione sociale diventata paesaggio.

La preziosità per i pugliesi non è solo estetica, è identitaria: gran parte dell’olio che ha illuminato l’Europa usciva da qui, spesso da frantoi ipogei scavati nella pietra; una cultura contadina fatta di cicli, mani, canti ha trovato nelle masserie la sua grammatica quotidiana. E oggi, mentre la Regione tutela questo patrimonio con progetti dedicati all’architettura rurale, le masserie diventano scuole di ospitalità e presìdi di biodiversità.

La loro forza è anche resilienza: di fronte a sfide contemporanee come la Xylella fastidiosa, che ha colpito il patrimonio olivicolo salentino, la Puglia ha messo in campo piani di monitoraggio e contenimento. Difendere gli ulivi significa difendere anche le masserie: senza alberi non c’è più il racconto, vitale in questi luoghi.

Un viaggio tra masserie per svelare la Puglia

Masseria Amastuola: il vigneto che disegna il paesaggio

Masseria Amastuola

A Crispiano il paesaggio si fa calligrafia. Qui una famiglia partita da un’officina negli anni ’50 ha una visione chiara: raccontare un territorio. Si arriva a 210 metri sul livello del mare, lungo un viale di ulivi secolari come una linea d’argento. I muretti a secco cuciti alla collina e, salendo, il colpo d’occhio del vigneto-giardino: filari in trame parallele disegnate da Fernando Caruncho diventano come onde del mare. Tra le vigne, 1.500 ulivi recuperati e raccolti in isole — alcuni con oltre otto secoli di vita — danno alla luce un paesaggio che cambia tono con il vento. Siamo nel Parco regionale Terra delle Gravine, nel cuore dell’“Area delle 100 masserie” di Crispiano.

La masseria, dimora quattrocentesca, oggi è un wine hotel con bottaia, bookshop e ristorante con terrazza. La cantina, invece di nascondersi sottoterra, è nata da un atto di rispetto per le evidenze archeologiche emerse in sito, restaurata con materiali del posto, e con il ferro e la resina che dialogano con la storia.

In vigna si lavora biologico; in bottiglia il territorio parla chiaro — Primitivo, Fiano, Minutolo e altre varietà — con rese misurate e una ricerca mai invadente. In cucina lo chef Luigi Chirico tiene il passo delle stagioni: piatti-manifesto, come il risotto alla frisella, accanto a foglie di vite, uva e vino che entrano con garbo nelle ricette. D’inverno cavolfiore arrosto con tartare e polvere di cappero; d’estate una melanzana che passa per brace, padella e piastra prima dell’incontro con una spuma di mozzarella al basilico.

Masseria Amastuola

Qui il paesaggio è un olio su pietra: i cipressi segnano il respiro, segnalibri scuri tra vigne e ulivi, e l’intera masseria racconta la Puglia con la grammatica del tempo: il paesaggio come opera, la tavola come conversazione.

Mascienda Guadalupe: due terre, un’anima sola

Tra gli ulivi monumentali di contrada Schiavone, la pietra bianca di Ostuni accoglie la luce e la rimanda come acqua. Qui, la designer messicana Jennifer Andreu ha trasformato un incontro in destino: il suo Messico e la Puglia si sono riconosciuti a prima vista. La masseria ottocentesca — ampliata nel 1926 e riportata a nuova vita con un lungo restauro rispettoso — è oggi un luogo dove l’arte non è decorazione, ma linfa quotidiana.

Masseria Guadalupe

Jennifer ha voluto che i colori intensi, i tessuti ricamati e i legni caldi del suo paese dialogassero con la pietra pugliese, senza che uno prevalesse sull’altro. Le suite si aprono su terrazze private e piccole piscine, i camini custodiscono il silenzio delle sere, ogni dettaglio è un racconto di mani e di tempo.

Masseria Guadalupe

Guadalupe è anche un atto di devozione: dedicata alla Madonna di Guadalupe, nasce nell’anno del Giubileo come segno di unione e gratitudine. Qui le giornate scorrono tra mostre d’arte e artigianato, cinema all’aperto e profumo di gelsomino, qui è nato l’olio extravergine Via Traiana, dagli ulivi secolari che seguono l’antica strada romana. In autunno, gli ospiti raccolgono le olive e assistono alla molitura, con il frantoio ancora caldo di profumi verdi.

A tavola, la colazione e i brunch sono un ponte di sapori: ingredienti pugliesi e tocchi messicani che trovano equilibrio. Al bar El Mezcalito, il mezcal conversa con i vini naturali del territorio. La sera, la musica dei mariachi o il silenzio delle stelle ricordano che qui il lusso è fatto di autenticità.

Mascienda Guadalupe non è solo ospitalità: è un sogno che ha preso forma pietra su pietra, gesto dopo gesto. Un ponte tra due mondi, costruito per chi cerca bellezza, arte e gioia in un unico respiro.

Masseria Fulcignano: il cuore contadino del Salento

Nel parco archeologico del Castello di Fulcignano, la masseria si apre come una pagina di pietra chiara. Si entra dal viale tra ulivi e muretti a secco, e l’aria ha il passo lento del Sud. Le camere al piano terra, nate dalle antiche stalle e dagli alloggi dei fattori, custodiscono volte a botte e grandi camini che tengono fresca la memoria. Fuori, una piscina panoramica incorniciata da chiome argentee raccoglie la luce del tramonto, quando il cielo diventa rame e oro.

Masseria Fulcignano

Qui il legame con la terra non è racconto, è mestiere vivo: l’azienda agricola lavora tutto l’anno, l’olio extravergine e i vini si degustano in corte, le visite al frantoio insegnano a leggere i gesti antichi, le piccole cooking class portano le mani nella farina e nell’olio nuovo. Intorno, il mare di Santa Maria al Bagno e Gallipoli è un orizzonte vicino, e Lecce una promessa di pietra barocca.

Masseria Fulcignano

La tavola segue il calendario delle stagioni: pane caldo e olio appena molito come rito d’accoglienza, formaggi locali, verdure dell’orto, piatti che nascono da ricette di famiglia. Alla Masseria Fulcignano il benessere è tempo ben speso: un bicchiere di vino al crepuscolo, il fruscio degli ulivi e la sera che scende lenta come una carezza.

Storia breve (e sentimentale) delle masserie di Puglia

Le radici affondano nel Medioevo, quando “masseria” comincia a indicare aziende rurali di varia natura — di campo, d’allevamento, miste — con spazi per la produzione e la vita comunitaria.

Perché parlano ai pugliesi? Perché dicono appartenenza. Le masserie custodiscono i gesti che hanno fatto di questa terra un giardino coltivato: la potatura, la vendemmia, la raccolta delle olive, il pane cotto nel forno, la pignata che borbotta. Perché raccontano ospitalità: quella che non fa spettacolo, ma ti mette a tavola e ti chiede se hai ancora fame. E perché insegnano tempo: qui non è un nemico da inseguire, è un alleato — si misura in stagioni, in annate, in nervature delle foglie. Per questo, per i pugliesi, la masseria non è “un posto dove andare”: è un modo di vivere.

Il gesto da portare a casa

C’è un momento, uscendo dai cortili, in cui resta addosso l’odore di foglie e mosto, il sale sugli ulivi, il passo lento delle stagioni. Le masserie insegnano che la bellezza non ha fretta: qui il paesaggio non si guarda soltanto, si respira e si assaggia. Portarsene via un gesto è il modo più semplice per tornare: scaldare l’olio nuovo, tagliare pane spesso, rimettere il tempo sul fuoco. La ricetta che segue è un promemoria caldo di questa terra.

Pic by Masseria Chicco Rizzo

Una ricetta pugliese da gustare

Pezzetti di cavallo al sugo con crostoni di pane fritto (alla salentina)

Piatto da strada e da festa, i “pezzetti te cavaddhu” sono un abbraccio rosso e profumato. Tradizionalmente cotti in pignata (terracotta), chiedono due cose: pazienza e una salsa generosa.

Ingredienti (4 persone)

  • 1 kg di muscolo di cavallo a cubi (spalla o pancia)
  • 1 cipolla, 1 carota, 1 gambo di sedano, 1 spicchio d’aglio
  • 2–3 foglie di alloro, peperoncino e pepe q.b.
  • 1 bicchiere di vino rosso (Primitivo o Negroamaro)
  • 700–1.000 ml di passata di pomodoro (meglio casalinga)
  • Olio extravergine d’oliva, sale

Per i crostoni di pane fritto

  • 8 fette spesse di pane di grano duro (leggermente raffermo)
  • Olio extravergine d’oliva per friggere, 1 spicchio d’aglio (facoltativo)

Procedimento

  1. Soffritto lento. In pignata o casseruola pesante, scalda 3–4 cucchiai d’olio; unisci cipolla, sedano, carota, aglio tritati. Fai sudare dolcemente.
  2. Rosolatura. Alza la fiamma, aggiungi la carne, sala leggermente, rosola bene. Sfumatura con vino; lascia evaporare. Aggiungi alloro, pepe, peperoncino.
  3. Salsa e pazienza. Versa la passata, copri e cuoci a fuoco basso 2,5–3 ore, mescolando ogni tanto: la carne deve cedere, il sugo diventare spesso e lucido. Regola di sale.
  4. Crostoni. In padella con un dito d’olio, friggi il pane 1–2 minuti per lato. Sgocciola su carta; se vuoi, strofina con aglio.
  5. Servizio. Crostoni nel piatto, sopra i pezzetti con molto sugo. Abbinamento: Primitivo tarantino o Negroamaro salentino.

Nota di famiglia: qualcuno pratica una breve prelessatura della carne prima del sugo; puoi farla se vuoi un risultato ancora più fondente, accorciando poi la cottura in salsa.

Buon appetito!

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