La Pandemia del Covid ci ha colto impreparati, il tempo scorre inesorabile e ci cambia ma non mutano le antiche tradizioni. E’ di conforto la gastronomia tipica che con il suo dolce pasquale: La FORMAGGELLA, addolcisce. Fra poche settimane è Pasqua, dai toni bassi e a tratti sconsolati ma le “feste non lo sanno e arrivano lo stesso”. Ora qui, in Sardegna, la zona è arancione da pochi giorni, ma le feste imminenti dovrebbero proiettarci ad un pensiero di “normalità”. Per evadere si viaggia soltanto con l’immaginazione.
Uno, dieci, centomila nomi per descrivere la regina della tavola pasquale isolana
Da nord al sud della Sardegna sono queste le settimane in cui, nella maggior parte delle case si prepara questo dolce il cui nome proviene da “casu”, formaggio in sardo e dal latino “caseus”. La preparazione avviene in compagnia, è un momento di aggregazione e socializzazione. Il suo nome si declina in modi diversi a seconda della lingua madre di ogni regione dell’Isola. I dialetti in Sardegna vengono considerati “limba” (lingua pura) e derivano dai rapporti che l’Isola ha sempre avuto per via della sua posizione geografica nel Mediterraneo. Ecco che questo dolce cosi piccolo si arricchisce di tante denominazioni: Li Casciatìni in Gallura, Sas Casadinas nella Barbagia di Ollolai, Parduas nel Medio Campidano, Pardulas a Cagliari.
La formaggella, quella che si fa e puoi mangiare in Gallura
Se chiudiamo gli occhi, si assapora la fragranza del dolce appena sfornato. E’ un invito alla convivialità. Hai mai mangiato una formaggella? Provala! A ben guardare, il dolce conforta sia per la forma rotonda che per il colore d’oro giallo. La sua vista che richiama il sole e la luce, racconta di giorni migliori non lontani, di tradizioni augurali, di Resurrezione della cultura Cristiana e di un’armonica cosmogonia.
La preparazione
La sua sfoglia di base rimane invariata in tutta l’Isola ad eccezione del ripieno che può essere di formaggio fresco o ricotta ovina. Oppure per il gusto personale il ripieno della formaggella può essere di un solo latticino o di entrambi. Quella al formaggio, dato il peso di questo resta più schiacciata e appiattita. Al contrario quando è di ricotta si riconosce per il gonfiore quasi a palla.
I suoi ingredienti
In Gallura, “a Pasca d’Abbrìli” (a Pasqua) erano presenti in ogni casa, anche nella dimora più semplice. Nei tempi antichi non c’era né la colomba né l’uovo di cioccolato e negli stazzi (vecchie case dei pastori) sperduti nella campagna solitaria anche i dolci venivano preparati utilizzando i prodotti a disposizione: la farina, il formaggio fresco, la ricotta, le uova, lo strutto, l’uva passa, il miele. Tutto ciò, insomma, che si produceva in famiglia in un’economia di sussistenza.
La ricetta della formaggella
Per fare “li casgiatìni” la massaia preparava la sfoglia di pasta lavorandola con lo strutto e tirandola col mattarello; la ritagliava poi con la rotella dentata in forme circolari di circa dieci centimetri di diametro. In un contenitore aveva già impastato il ripieno, amalgamando bene il formaggio fresco grattugiato (o la ricotta) con un pò di farina, le uova, la scorza d’arancia grattata, l’uva passa, il miele, lo zucchero. Un cucchiaio d’impasto veniva sistemato sui dischi di pasta già pronta sulla tavola, schiacciato delicatamente con le mani e racchiuso rialzando i bordi della pasta stringendola tra il pollice e l’indice e le formaggelle erano pronte ad essere infornate al forno a legna. La durata della cottura? Beh dal forno si levavano solamente quando il profumo si spandeva tutt’intorno e il colore diventava dorato, solo allora erano cotte, pronte e desiderate.
Un piatto unico
La casgiulàta invece non è altro che una casgiatìna più grande (praticamente del diametro di un piatto) con l’impasto di ricotta o formaggio fresco insaporito col sale, il prezzemolo, e la menta. Un tempo li casgiulàti, cibo semplice e sostanzioso piacevano molto tant’è che si preparavano spesso come pasto ordinario anche fuori dal periodo pasquale. Ad oggi puoi trovare questi dolci artigianali facilmente in ogni pasticceria ma anche all’interno dei supermercati, agriturismi o ristoranti che rispettano la cucina locale.
L’importanza del cibo tradizionale nella cultura moderna
E’ il dolce più conosciuto anche perché l’economia trainante essendo quella agro pastorale crea il reddito quasi in ogni famiglia. Tutta la cucina sarda nasce direttamente dai prodotti del territorio: dal grano che matura nei campi lavorati, da uomini agricoltori, dal miele che profuma nei bugni, dal latte delle greggi ma soprattutto dalle mani laboriose delle donne. E’ agli avi che si deve la riconoscenza per aver trasmesso queste tradizioni.
La genuinità della formaggella
L’importanza del cibo è relativa a quanto l’uomo trova in natura e produce nel suo rispetto attraverso le colture, gli allevamenti, la pesca, la caccia. Prodotto genuino e salutare, conoscenza della nostra storia, ma cosa rappresenta una formaggella? Un dolce dall’apparente semplicità. E’ un insieme di, saperi, testimonianze che se passano di generazione in generazione non si esauriscono ma conservano la propria eredità e rafforzano un’identità individuale e collettiva.
L’identità della formaggella
La gastronomia e nello specifico la formaggella frutto del territorio di appartenenza racchiude complesso di memorie originali e indiscutibilmente uniche. Differiscono da tutte le altre produzioni dolciarie in contrasto con gli altri gruppi sociali, a difesa e conservazione dell’identità sarda della quale trae vanto di appartenenza. E’ il “made in sardinia” in un’epoca di globalizzazione dove banalmente si fa di tutte le erbe un fascio. Bisogna salvare tutto ciò che si può dalle grinfie del “tutti uguali” ad ogni costo.
I riti della Settimana Santa
In ogni famiglia si producono gli ingredienti per realizzare le formaggelle e si ripercorrono i riti della Settimana Santa. Si fruga nella memoria tra le pieghe dell’oblio anche per trascorrere le giornate senza preoccupazioni e ansietà. A fine Carnevale, il giorno dopo il “mercoledì delle ceneri” inizia la Quaresima per redimersi con contrizione dai peccati commessi in libertà durante i divertimenti precedenti. Oggi pesano i divieti che annullano consuetudini liturgiche e riti tradizionali. Per compensare tutto ciò, il pensiero corre alle abitudini non scritte e che in parte ancora sopravvivono in un intreccio di cultura, ambiente e gastronomia.
Il Venerdì Santo
La penultima settimana quaresimale la Chiesa festeggia la Domenica delle Palme con messa solenne, breve processione e benedizione delle palme artisticamente intrecciate con i rami d’ulivo che si portano in ogni casa e si scambiano tra amici come auspicio di pace. Ha inizio la Settimana Santa con uno stile di vita adeguato al rispetto di Gesù in croce. Anche l’alimentazione segue regole rigide per giungere quasi al digiuno totale come segno di lutto. Gli anziani raccontano che il venerdì Santo imponeva un rigido digiuno, sia per gli uomini e gli animali. Infatti alle galline venivano legate le zampe per non poter camminare e cibarsi.
Nei borghi più suggestivi
Nel medesimo giorno della Settimana Santa è in uso il rito Cristiano della deposizione del Cristo dalla Croce. Tale usanza giunge dalla dominazione Spagnola a tutt’oggi. La sua rappresentazione teatrale che si svolge in chiesa o lungo le strade in processione si conserva in molti paesi: Iglesias, Castelsardo, Gavoi, Bosa, Alghero, Orosei, SantuLussurgiu, Aidomaggiore, Cagliari, Villacidro, Cuglieri, Sarule, Scano Montiferro, Aggius. Inoltre non possono essere suonate le campane della chiesa, in segno di lutto, ma durante la processione si suonano degli strumenti musicali di legno e ferro: “taulittas” e “matraccas”, in sostituzione delle campane.
La rinascita dopo le tenebre
Questi riti del Triduo pasquale: la Passione, la Morte, la Resurrezione, vengono osservati dai sardi e non solo ma anche dai numerosissimi turisti che ogni anno vogliono immergersi in questi ambienti che ti caricano di spiritualità e di forti emozioni davvero uniche e molto rare. La Resurrezione è la rinascita dopo le tenebre. Avviene davanti al sagrato della chiesa, in strada dove Gesù resuscitato fa l’inchino a Maria. E’ un’esplosione di gioia che investe tutti i presenti. Le campane ora suonano a festa.
Questa gioia immaginata possa, in questo momento di lettura, essere Luce per il mondo!
a cura di Angela Bacciu