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Km zero? C’è chi dice no

Imprenditore vitivinicolo e vivaistico dell’Astigiano, Dino Scanavino dal 2014 è il numero uno della Cia-Agricoltori Italiani. Con la sua elezione, la Confederazione ha sancito il passaggio a una governance di agricoltori, e lui ha messo a disposizione dei quasi 900mila iscritti la sua conoscenza del settore e un sano pragmatismo. La sua ricetta per favorire l’export e tutelare il cibo tricolore va controcorrente  «A forza di parlare solo di “km zero”, ho timore che stiamo relegando le nostre eccellenze agroalimentari alla vendita nei mercatini rionali. Ma per crescere e fare reddito, le imprese hanno bisogno di altri mercati. Quelli stranieri». Parola del presidente nazionale della Cia-Agricoltori Italiani Dino Scanavino, che ci spiega perché al Made in Italy non basta la vendita diretta per aumentare spazi e fatturato.   Perché dunque non puntare sul km zero?  Perché i numeri parlano chiaro. La vendita diretta nei mercati di prossimità è importante, ma genera un fatturato vicino al miliardo e mezzo di euro. La cifra che muove l’export agroalimentare invece è di quasi 37miliardi di euro, ma con un potenziale di almeno 70miliardi. Vuol dire che stiamo sbagliando strategia. E infatti il vero problema oggi è la mancanza di un piano strategico organico di lungo respiro per aggredire i mercati stranieri, aiutando le imprese ad andare oltreconfine. Ma come si fa a raggiungere questo potenziale?Bisogna puntare sulla reputation del nostro agroalimentare, che è davvero buona. Per la stragrande maggioranza degli stranieri i nostri prodotti sono “un must”, solo che ne conoscono appena il 5%! A fronte di una produzione nazionale che vanta oltre 5.847 prodotti tra cibi tradizionali e denominazioni di origine, l’Italia ne porta sulle tavole dei consumatori internazionali non più di 200. Un paniere molto limitato. Senza contare che, da soli, Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, San Daniele, Aceto Balsamico di Modena, Gorgonzola, Pecorino Romano, Mozzarella di bufala Campana, Mela Alto Adige e Bresaola Valtellina coprono ben l’80% del fatturato. Prendiamo anche l’esempio del vino: il nostro Paese produce 523 vini a denominazione, ma i consumatori mondiali possono “conoscerne” appena una dozzina. Il motivo? Perché gli altri non sono facilmente reperibili sui loro mercati! Fenomeni odiosi come l’italian sounding, i falsi Made in Italy, nascono anche da questo vuoto. Quanto pesano i danni provocati dalla contraffazione al Made in Italy agroalimentare nel mondo?L’italian sounding genera un business illegale pari a 60miliardi di euro l’anno, di cui 26 solo in Nord America, una cifra che viene totalmente scippata agli agricoltori e all’intera filiera alimentare. Verrebbe da dire che l’agropirateria internazionale sa quanto “vale” il nostro cibo! Ma basta rileggere anche gli ultimi studi su come vengono percepite le produzioni italiane all’estero, che oggi ci dicono che ben 4 consumatori stranieri su 10 giudicano la qualità dei nostri cibi superiore rispetto a quella locale. Che il 43% degli statunitensi chiede più Made in Italy nei supermercati e – dato per noi fondamentale – il 74% dichiara di essere disposto a riconoscere un prezzo maggiorato sui prodotti, a patto che siano 100% italiani. Dunque la domanda è forte, e lo diventa ancora di più se si prendono in considerazione quei Paesi praticamente vergini negli scambi con l’Italia o le realtà emergenti come l’Asia.     La Cia ha un piano per portare più imprese e più prodotti all’estero?Certo. Abbiamo ideato un piano ambizioso di promozione internazionale delle imprese agricole associate in partnership con realtà importanti del settore come Ice, Gambero Rosso International, Centro Studi Anticontraffazione, Studio Valdani e Vicari. È necessario dare sistematicità, il nostro impegno è quello di rafforzare e accompagnare le aziende nella sfida dell’internazionalizzazione creando alleanze. Con un obiettivo: favorire la crescita e conquistare nuovi spazi sui mercati stranieri, contrastando l’italian sounding.    Il premio Bandiera Verde Cia “Bandiera Verde Agricoltura” è il premio promosso dalla Cia che ogni anno, nella data simbolica dell’11 novembre, viene assegnato ai “campioni” dell’agricoltura italiana. Nato nel 2003, il riconoscimento intende premiare comuni, aziende e associazioni che si sono distinte nelle politiche di tutela dell’ambiente e del paesaggio anche a fini turistici, nell’uso razionale del suolo, nella valorizzazione dei prodotti tipici legati al territorio, nell’azione finalizzata a migliorare le condizioni di vita ed economiche di agricoltori e cittadini. Premi “speciali” vengono conferiti anche a personalità della cultura, delle scienze, del giornalismo e dell’arte che si sono contraddistinte, nelle loro specifiche attività, nella sensibilità, nell’azione di valorizzazione e tutela verso il patrimonio agricolo e naturale italiano.

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