Non è soltanto un luogo dove rifocillarsi o consumare bevande: da sempre, e in ogni parte d’Italia, recarvisi è un rito sociale collettivo. Uno spazio che evolve ma senza cedere (per ora) alle sfide della globalizzazione. Ecco quelli più storici, curiosi e particolari Chiudono le drogherie e gli alimentari, sotto il peso della concorrenza dei supermercati. Scompaiono le piccole osterie di paese, rese obsolete dalla filosofia del fast food. Abbassano le saracinesche persino i barbieri, in un mondo che corre veloce e non dà il tempo di una rasatura. Ma c’è qualcosa che non si rassegna a varcare la soglia dell’album dei ricordi, perché è legato a doppio filo alla nostra stessa identità: è il bar, la vera casa degli Italiani. Lungi dall’essere soltanto un luogo dove rifocillarsi o consumare bevande nel tragitto tra casa e lavoro, il bar è da sempre – e in ogni parte d’Italia, senza distinzione di campanile – il tempio dove si officia un rito sociale collettivo dalle mille sfaccettature: la “pausa caffè”, l’aperitivo, le chiacchiere col barista, la spulciatura dei quotidiani e persino la partita a briscola o tressette. Andare al bar significa infatti spesso liberare per qualche minuto la testa dagli impegni, rilassarsi e ricaricare le batterie, soprattutto se in compagnia. Un popolo al banconeDalle grandi città ai piccoli centri, l’Italia è piena di bar: ce ne sono quasi tre ogni mille abitanti. Secondo un’indagine di Fipe Confcommercio del 2012 nel nostro Paese sono presenti oltre 172mila strutture. Di queste, il 17% è in Lombardia (30mila), seguita da Veneto, Lazio e Campania, mentre Val d’Aosta, Liguria e Sardegna sono le regioni che hanno favorito la nascita dei bar in modo più che proporzionale al numero di abitanti. Per questi esercizi, il mattino ha letteralmente l’oro in bocca: ogni anno i 17milioni di italiani che vi consumano la colazione spendono 1,5miliardi di euro tra caffè, brioche e cappuccini, con uno scontrino medio di 2,60 euro che genera un volume d’affari di 3,9miliardi. Tanto? Macché: il 97% degli italiani beve caffè, e in media 4 volte al giorno (due a casa, uno al bar e uno in ufficio). Il bar si conferma meta preferita anche per la pausa caffè di metà mattina o metà pomeriggio, con 18milioni di habitué e uno scontrino medio di 2,95 euro dato da bevande calde e fredde, snack dolci e salati. In quanto al pranzo, su 12milioni di connazionali che restano fuori casa “solo” 1,4 milioni scelgono il bar rispetto a mense, ristorante e ufficio. Alla sera, invece, il bar diventa regno dell’aperitivo: tra gli evergreen al bancone troviamo lo spritz, seguito dal vino e, nell’ordine, birra, mojito, prosecco, martini, vodka e margarita. Le città più mondane, su questo fronte, sono Milano, Torino Roma e Firenze, che oscillano tra aperitivo etnico o ricercato (col sushi, ad esempio) e quello all’italiana. L’evoluzione della specieCome se fosse una cartina al tornasole della società tout court, il modo in cui il bar si è trasformato negli ultimi decenni riflette i cambiamenti del nostro mondo. Pensiamo agli oggetti che un tempo trovavamo dappertutto e che oggi sono diventati quasi pezzi da antiquariato: i telefoni a gettoni alle pareti (con il barista sempre pronto a cambiare un pezzo da mille lire per l’interurbana) con accanto l’elenco e le pagine gialle, la tv a muro dove ascoltare i telegiornali o vedere la partita quando l’etere non era ancora affollato, i flipper rumorosi e i videogiochi arcade – quelli col cabinato, i bottoni e il joystick – fino alle pareti fumose cariche di bottiglie o ai tavoli di legno con la superficie rigata e quasi consumata dalle partite a carte. Il tipico bar di oggi sembra lontano anni luce. Non peggiore, semplicemente diverso: spesso i locali hanno la connessione wi-fi, offrono l’aperitivo e allestiscono l’happy hour, sono in grado di miscelare cocktail che anni fa nessun avventore si sarebbe sognato di ordinare. È cambiato persino il sottofondo musicale, con il juke-box che ha ceduto il passo alla radio in filodiffusione o al tintinnare delle slot machine, ed è diminuito il tempo medio di permanenza. E il barista chi è?Per non parlare degli allestimenti, sempre più creativi, originali e avveniristici. In alcuni casi, addirittura, la stravaganza è da Guinness dei primati. Prendiamo il Backdoor43 sui Navigli di Milano, ad esempio: con i suoi 4 metri quadrati, è il bar più piccolo del mondo. In uno spazio di due metri per due i titolari sono riusciti a mettere un bancone, tre sgabelli e alte pareti piene di whisky, che è la vera specialità della casa. Capienza massima: tre persone più il barista, che accoglie gli avventori indossando la maschera di V per Vendetta. Ovviamente la prenotazione è d’obbligo, e la permanenza massima consentita non supera le due ore. In Valdobbiadene, nel trevigiano, c’è invece il bar… senza barman. Si tratta de All’Oste che non c’è, un casolare di fine Ottocento in piena campagna dove all’interno non c’è nessuno. La proprietaria ha iniziato mettendo sul tavolo della cucina tre bottiglie di Cartizze o prosecco, sei bicchieri e la scritta “valore 10 euro, servitevi da soli e buona degustazione”. Un modo per evitare ad amici e passanti l’imbarazzo di sentirsi scrocconi. La novità è piaciuta, e così in poco tempo la scelta si è allargata a salumi, formaggi di malga, dolcetti locali, uova e pane, in sacchetti trasparenti, e i 14 avventori che rappresentano la capienza massima del bar possono anche farsi il caffè prima di lasciare un’offerta. Allestimenti… originaliIn Sicilia si trova il Bar Turrisi, altrimenti noto come il bar fallico o – per dirla con la terminologia più diffusa – il “bar dei cazzi”: in cima a una montagna sopra Taormina, nel paesino di Castelmola, c’è un locale d’ispirazione osé dove tutto ha forma fallica, con tanto di statue e quadri a tema. «I falli – racconta il titolare – non vogliono rappresentare il membro virile dell’uomo in sé ma la cultura di questi luoghi, che negli ultimi decenni dell’Ottocento ospitarono le prime comunità gay. Da queste terre intrise di storia e filosofia ellenica sono passati personaggi come Johann Wolfgang Goethe, Oscar Wilde o Thomas Mann. Gli ideali rappresentati dal fallo sono fecondità, libertà, fortuna, vita e bellezza, che da sempre aleggiano su questa terra». Tornando a Milano facciamo un salto al Crazy Cat Cafè, un bar all’apparenza ordinario dove prendere un cappuccino o gustare un dolce circondati dai gatti che riempiono il locale. Nato sul modello dei neko cafè (paradisi a misura di gatto molto diffusi in Giappone e già esportati in altre città europee) il locale ospita come attrazioni Freddie, Patti, Bowie, Nina, Elvis e Blondie, sei mici che i proprietari hanno adottato salvandoli dalla strada. «Durante una vacanza a Osaka – spiegano i titolari Alba Galtieri e Marco Centonza – abbiamo visitato un neko cafè e siamo rimasti molto colpiti. Abbiamo pensato che ci sarebbe piaciuto aprirne uno simile nella nostra città». Cronache del ghiaccio e del fuocoAlla Casa del Demone a Torino l’aperitivo è invece in stile horror, servito tra bare circondate da teschi e fantasmi. Scelta sensata, per un città che fa dell’esoterismo, della magia e del mistero uno dei suoi tratti distintivi: seguendo l’esempio dei locali nati nelle capitali europee, anche in riva al Po i teschi e gli scheletri di cui il bar è pieno esorcizzano la morte per celebrare la vita. A Roma prima e da qualche mese anche a Milano, infine, chi entra nell’Ice Club può gustare una vodka – disponibile in 65 versioni, dalle classiche a quelle aromatizzate, tutte ovviamente frozen – in un bar d’ispirazione nordeuropea dove il bancone, le pareti e il tutto il resto è completamente di ghiaccio. Al suo interno le temperature sono pari a -5°: appena varcata la soglia d’ingresso, a ogni cliente viene data una speciale mantella termica per difendersi dal gelo. Anche i cocktail vengono serviti in coppe di ghiaccio. E i bar più antichi? In un Paese che conta centinaia di locali storici, la palma spetta forse al Caffè del Tasso a Bergamo Alta, istituito nel 1476: fu lì che nel 1859 si arruolarono i garibaldini bergamaschi per l’impresa dei Mille. Dopo aver preso un caffè, naturalmente. UN PO’ DI STORIAIl tempo del bar, il bar nel tempo Tutto nacque con una guerra. Perché se è vero che i bar – intesi come luoghi dove sorseggiare caffè e altre bevande, chiamati Quaveh khanek – erano già presenti a Costantinopoli nel 1554, in Europa le prime aperture risalgono all’indomani della sconfitta dei turchi a Vienna, nel 1683. In città gli ottomani lasciarono centinaia di sacchi di caffè: alcuni prigionieri insegnarono agli austriaci la tecnica della caffetteria, e il primo ad aprire un bar a Vienna fu il polacco Koltschitzsky. Il suo esempio fu seguito nel 1720 a Venezia, grazie al porto dove avvenivano gli scambi con la Turchia: nacque così lo storico caffè Florian; non per niente il primo a parlare di questa nuova tipologia di locali, nel 1750, fu proprio il veneziano Carlo Goldoni nella commedia La Bottega del Caffè. Il bar si diffuse quindi per l’Italia fino a giungere a Roma, dove il clero ne ostacolò la diffusione sottolineando l’origine musulmana della bevanda che vi si beveva. Dobbiamo a Papa Clemente VIII se il caffè – e di conseguenza il bar – si diffuse senza più ostacoli, arrivando in Francia, dove l’italiano Procopio Coltelli aprì il Cafè Procope. È in questo periodo che aprono i vari Aurora a Venezia, Gilli di Firenze, Cambio a Torino, Greco a Roma e Pedrocchi a Padova. In diversi casi presero la forma di caffè letterari, dove si incontravano personaggi eccentrici, creativi o rivoluzionari, giocando un ruolo importante nella nascita di tendenze artistiche e letterarie: basti pensare alle Giubbe Rosse a Firenze, ai cui tavoli fiorì il movimento futurista grazie a Filippo Tommaso Marinetti e Umberto Boccioni. Dalla seconda metà dell’Ottocento si registrarono migliaia di aperture, ma soprattutto nacquero i primi cocktail e infusioni ufficialmente per mano del barman Jerry Thomas. Col passare del tempo la parola “bar” sostituì in molte insegne quella di “caffè”, sia per l’evoluzione dell’offerta sia per le influenze che provenivano da oltreoceano: fu l’origine degli American Bar, oggi diffusissimi. E domani? Le ultime tendenze vogliono che il bar sia sempre più interattivo, tematico (vegan bar, manga bar, gay bar e così via, fino agli esoterici “bar segreti” accessibili a pochi), attento alla riscoperta delle miscelazioni vintage e flessibile, in grado cioè di fondere in una sola dimensione lo spazio fisico e il mondo digitale. LA CURIOSITA’ La tradizione del “caffè sospeso”Lo scrittore Luciano De Crescenzo lo definiva “un atto di generosità verso l’umanità intera”. Il caffè sospeso è un’antica usanza filantropica che nasce nei bar di Napoli: consiste nel pagare al barista una tazzina che non viene consumata, bensì donata al primo avventore che entri nel locale e ne faccia richiesta. In questo modo, dopo che un cliente ha pagato due caffè e ne ha ricevuto solo uno, quando una persona bisognosa entra nel bar può chiedere se c’è un caffè sospeso: in caso affermativo, riceve la consumazione “offerta” dal primo cliente. Un tempo molto viva, questa tradizione ha poi conosciuto anni di declino fino a quando – nel 2011 – una rete di associazioni culturali non ha istituito per il 10 dicembre la Giornata del Caffè Sospeso. Fuori dall’Italia, una pratica simile è stata provata anche in alcuni bar di Bulgaria, Irlanda, Spagna… ma senza mai attecchire. L’esempio del caffè è invece stato seguito da iniziative come il “libro sospeso” o la “poesia sospesa”. GLOSSARIOBar, barman, barista o bartender?Oggi per bar intendiamo generalmente un locale destinato alla vendita di bevande alcoliche e analcoliche, ma il termine “bar” affonda le sue radici in un passato ben lontano. Secondo molti, infatti, deriva dalla contrazione della parola inglese barrier, ossia sbarra. Infatti, nel passato l’angolo riservato alla vendita degli alcolici, all’interno delle osterie, era diviso dal resto del locale proprio da una sbarra. Per altri studiosi, il termine deriva da barred (sbarrato) in quanto nell’Ottocento, nei periodi in cui in Inghilterra era vietata la vendita di bevande alcoliche, sulle porte degli spacci venivano inchiodate assi su cui veniva pennellata questa parola. Infine, non si può scartare l’ipotesi secondo cui “bar” derivi dal fatto che al bancone erano tradizionalmente presenti due barre, spesso di ottone: una per i piedi, l’altra per il braccio o il gomito. Oggi poi si tende a considerare sinonimi parole come barista, barman o bartender, intendendo colui che miscela cocktail, serve bevande, prepara snack e così via. In realtà, il barista si occupa di preparare e somministrare bibite e cibi, nonché tutti i prodotti di caffetteria, mentre il barman è un professionista specializzato nella preparazione di bevande alcoliche come cocktail e long drink, ed è noto negli Usa anche come mixologist, cioè dottore della miscelazione. Esiste poi una terza categoria, i bartender, che si differenziano dai barman classici perché lavorano con un approccio più moderno e utilizzano tecniche che velocizzano molto la preparazione dei cocktail, il che rende questa figura adatta a gestire le situazioni con maggiore affluenza, come discoteche e pub. LA CASE HISTORYLe ultime tendenze: il kebabbar di Lorenzo Foti Atmosfere hypster tanto nell’arredamento quanto nel look dei ragazzi che vi lavorano per lo Star Zagros, una cinquantina di coperti tra interno e dehor in Corso 22 Marzo a Milano. Al bancone si servono da una vita kebab, pizze e falafel, ai quali ultimamente vengono affiancate birre alla spina e ricercati cocktail a prezzi nettamente inferiori rispetto alla media meneghina. «Si tratta di un kebabbar», spiega il titolare Emrah Karaman, 25 anni, di origini curde, con il pallino per la filosofia. Effettivamente il locale ha caratteristiche piuttosto ibride e il cliente, una volta entrato, si ritrova spaesato per via della coesistenza di particolari che non si è soliti concepire in un kebab: arredamento in legno con quadri e fotografie alle pareti; selezioni musicali che spaziano dal jazz all’elettronica all’hip hop al folk curdo; ragazzi dietro al bancone con più tatuaggi che primavere sulle spalle; una selezione di alcolici sorprendente impreziosita dalla presenza di diversi whisky da degustazione, da grandi classici della tradizione italiana come lo Strega e da special guest internazionali come il liquore verde francese Chartreuse, la tequila 100% di agave Espolon e il porto argentino Malamado. Compare anche una serie di sciroppi esotici fatti in casa. Emrah accoglie i clienti offrendo acqua, ghiaccio e zenzero per preparare il palato e, dopo aver studiato i loro gusti, si illumina di gioia quando gli chiedono di inventarsi un drink di sana pianta. Non amando le etichette, Emrah si limita a descrivere il suo locale come una fusione tra le sue origini e la sua vita milanese. Fusione che prende corpo anche in ambito culinario, come testimonia l’abdullino, un panciuto panzerotto al forno con carne kebab che prende il nome dal suo inventore, l’addetto alla panificazione.