Una, dieci, cento curve. La lunga corsa di Giusy sul tartan della vita è un percorso tortuoso, fatto di sterzate improvvise e ruvidi cambi di direzione. Una gara contro imprevisti e avversità. Laddove non bastano i muscoli e la preparazione. Per arrivare in fondo, per sprintare e tagliare il traguardo, ci vuole cuore, coraggio, e anche un po’ di follia. Gli psicologi la chiamano “resilienza”, quella capacità di affrontare i traumi in maniera positiva, rimodulando la propria vita davanti alle difficoltà, fino al punto da riuscire a conseguire obiettivi impensabili. Con quel corpo minuto e armonico da kore magnogreca, che ne tradisce le fiere origini calabresi, Giusy Versace è esattamente questo: un fascio di nervi e di forza, un cuore grande quanto il suo sorriso solare, una resilienza da manuale. Non avrebbe potuto farcela, altrimenti, a mettere insieme – nonostante il grave handicap – così tante medaglie: prima atleta italiana a correre con amputazione di entrambe le gambe, ballerina nel fortunato show “Ballando con le stelle”, conduttrice alla Domenica Sportiva, testimonial e presidente della Onlus Disabili No Limits. E tutto questo, peraltro, senza perdere un grammo della sua femminilità. Anzi, addosso a lei, sotto le sue ginocchia, anche quelle protesi in fibra di carbonio che la accompagnano in questa seconda vita – possiamo dirlo? – non sono mai state così belle. Lei si schermisce: «Grazie. In realtà, io non le trovo così belle. Ma non mi lamento. Mi servono a correre. E tanto, se piango, non è che le gambe mi ricrescono». Facciamo un salto indietro: Reggio Calabria.Ah, la mia città, un mondo che non ho mai abbandonato, malgrado per lavoro sia sempre in giro. Ci torno appena posso, anche solo per mangiare un gelato sul lungomare. E ogni volta, tornare è come prendere una boccata d’aria. Cosa ti porti sempre dietro della tua terra?Di sicuro il lungomare di Reggio: è impresso nella mia mente, come una fotografia. E poi, la famiglia che vive lì e alla quale sono legatissima, gli amici, i ricordi. E i sapori: quelli delle polpette con le melanzane di mia nonna. E della liquirizia della Sila, che adoro. Sei andata via presto, però.Sì, a 18 anni, sognavo una carriera dirigenziale. Sono andata a Londra, poi a Milano dove ho dovuto combattere contro questo cognome ingombrante (il papà è cugino degli stilisti Santo e Donatella e del compianto Gianni, NdA), ma, lottando sono riuscita a farmi strada. Prima dell’incidente, ero diventata responsabile per l’Europa di un’azienda di moda. Poi è arrivato quel maledetto giorno del 2005 sulla Salerno-Reggio Calabria…Già. Su quell’autostrada ho lasciato le mie gambe. Ma avrebbe potuto andarmi anche peggio. E di questo non mancherò mai di ringraziare l’elisoccorso che mi ha trasportato in ospedale in 8 minuti, e i medici che mi hanno curato. La tanto criticata sanità calabrese, a me, ha salvato la vita. Come si fa a rialzarsi e ricominciare?Nel post-incidente è stata la fede a sorreggermi. Mi sono legata ai volontari dell’Unitalsi con i quali sono andata a Lourdes. Ho cominciato a raccogliere fondi per i disabili. Nel frattempo facevo la riabilitazione fisica e sentivo un gran bisogno di riprendere una vita normale. Così, quando a Milano mi hanno proposto di provare le protesi al carbonio, ho detto sì e ho scoperto la corsa. Nel giro di qualche anno, senza neanche rendermene conto ero diventata la prima donna in Italia ad usare le protesi per praticare una disciplina sportiva. Ma è merito del mio allenatore, Andrea Giannini, se da una “papera che saltellava” sono diventata un’atleta capace di vincere titoli italiani sui 100 e i 200 metri e partecipare a gare internazionali. E l’avventura in tv? Un’altra scommessa vinta?La cosa più importante della partecipazione e della vittoria a “Ballando con le stelle” è stata che il grande pubblico ha iniziato a considerarmi un “esempio positivo” di come si possa essere atleti anche senza avere le gambe. Certo, mi sono anche divertita e sono stata felicissima di poter rimettere i tacchi dopo 9 anni. Volevo emozionare, ma non pensavo di emozionarmi. Anche se è fisicamente è stata molto dura, la rifarei subito. Più dura a Ballando o alla Domenica Sportiva?Se pensi che prima di iniziare la DS, non sapevo nemmeno cos’era il fuorigioco, direi la seconda…No, scherzo, sono state entrambe esperienze straordinarie. Spero di poterle ripetere, anche perché la visibilità mediatica mi aiuta molto nell’impegno per la disabilità…adesso però scusami, devo andare ad allenarmi. Giusy, per scaramanzia non lo dice, ma la convocazione per gli imminenti Giochi Paralimpici di Rio de Janeiro, è dietro l’angolo. Incrociamo le dita.