“La noia è considerata una massima pena e comminata dal codice, il carcere”, scriveva Cesare Pavese. Ed è proprio vero: l’assenza di stimoli, l’impossibilità di costruirsi una vita nuova e riscoprire il mondo con altri occhi, è uno degli aspetti peggiori e meno utili dei periodi detentivi. Una condanna dalla quale in molti oggi riescono a liberarsi grazie a progetti volti alla riabilitazione dei carcerati, che sempre più spesso passano dalla cucina. Vi raccontiamo le esperienze di Padova, Pozzuoli, Trani, Napoli, Milano, Ragusa e Siracusa Se, come diceva Dostoevskij, “il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”, allora quelle italiane non sono poi messe così male come si crede. O meglio, non tutte. Ce ne sono diverse infatti che, oltre a far scontare la pena ai detenuti, sono anche riuscite a offrire loro una possibilità di riscatto e un reinserimento nella società. In molti di questi casi le nuove vite dei reclusi passano – indovinate un po’ – dalla gastronomia, vanto del Belpaese e, mai come in questo caso, straordinaria opportunità. Da Nord a Sud sono sempre di più, infatti, i laboratori di produzioni alimentari, e adesso persino i ristoranti, che prendono vita in prigione consentendo ai detenuti di imparare un mestiere e ritrovare le motivazioni. Caffè, torrone, dolci stagionali, gelati, taralli, pane, pasta, biscotti sono soltanto alcune delle prelibatezze confezionate “dietro le sbarre” ed esportate nel mercato della grande distribuzione grazie al prezioso lavoro di cooperative sociali. Momenti dolci e salatiTra le prime nel suo genere, vi è certamente la Pasticceria Giotto che, sorta nel 2005 all’interno del carcere Due Palazzi di Padova e diventata celebre per i suoi panettoni, ha da poco aperto una gelateria in centro città, utilizzando latte e frutta fresca di aziende agricole del padovano. «Curiamo molto anche la stagionalità – spiega Matteo Florean, responsabile del laboratorio – In ogni periodo dell’anno troverete solo la frutta giunta a maturazione, non in frigo o in cassetta, ma sulla pianta o in campo». I gusti più gettonati vanno dal fiordilatte alla ciliegia, dal pistacchio allo yogurt ai frutti di bosco e, la grande novità è il fior d’arancio, con un intenso aroma di passito Docg dei Colli Euganei. Dalla Casa circondariale femminile di Pozzuoli, in provincia di Napoli, arriva invece il caffè Lazzarelle, il cui intero ciclo produttivo, dalla tostatura al confezionamento, viene svolto dalle detenute all’interno del carcere. La miscela, ottenuta dalla tostatura dei chicchi provenienti da Brasile, Costa Rica, Colombia, India e Uganda, regala un caffè dal sapore intenso e dall’aroma morbido, a dispetto del nome, Lazzarelle, che ricorda ironicamente come a Napoli vengono chiamate le ragazzine un po’ discole e vivaci. C’è un’altra casa di reclusione, quella di Trani, in Puglia – una regione dove il tasso di sovraffollamento carcerario è il più alto d’Italia – che da nove anni, insieme alla cooperativa Campo dei Miracoli, ha messo su un piccolo laboratorio che impiega 4 detenuti nella produzione di taralli salati nelle varianti all’olio extravergine d’oliva, al seme di finocchio, al peperoncino, alla cipolla, alla pizza e al pepe, distribuiti nelle botteghe del Consorzio Ctm Altromercato.
Confronto a tavolaUn binomio vincente tra carcere ed enogastronomia è dato senza dubbio dall’apertura del ristorante InGalera all’interno della prigione di Bollate. Qui la cooperativa Abc, insieme al supporto di altri partner, è riuscita in un’impresa difficile ma, a quanto pare, non impossibile: quella cioè di portar “dentro” il mondo esterno. «In carcere – racconta Silvia Polleri, responsabile della cooperativa – ci sono persone che fanno ancora parte della società e metterle a contatto ogni giorno con i clienti è un’importante occasione di confronto per entrambi». Aperto sei giorni su sette, previa prenotazione – armatevi di pazienza perché le richieste sono tante – si spazia da un quick lunch a partire da 12 euro, dal lunedì al venerdì, a una cena à la carte con una vasta scelta di piatti che non lascerà di certo delusi i palati più raffinati. Alle pareti, i poster dedicati a celebri film, come Fuga da Alcatraz o Il miglio verde, e foto delle prigioni d’Italia e del mondo, vi ricorderanno quando è ora di tornare a casa. Esperienze sicilianeGhiottonerie a base di mandorle e pistacchi provengono infine dalla Sicilia, e in particolare dalla caparbietà di Giuseppe, Pino, Andrea, Maria e Giovanni, i cinque giovani fondatori della cooperativa Sprigioniamo sapori che, nella Casa circondariale di Ragusa, sforna torroni e croccanti a certificazione biologica, valorizzando le eccellenze del territorio. In quasi tre anni di attività, sono stati 14 i detenuti che si sono impegnati non solo una semplice professione, bensì in una riconquista della dignità personale e dell’autostima. A soli 90 km di distanza, nella Sicilia sud-orientale e più precisamente nell’altopiano degli Iblei, sorge la Casa circondariale di Siracusa dove l’Onlus L’Arcolaio ha dato vita al marchio Dolci Evasioni. Paste di mandorla, amaretti, meringhe, agrumi canditi ricoperti di cioccolato, tutti biologici e senza glutine. Sono solo alcuni dei prodotti di pasticceria tipica siciliana che hanno dato lavoro fino ad oggi a oltre 100 detenuti sottraendoli così a una detenzione dove il tempo di espiazione della colpa non sia fatto solo di ozio. Nel suo diario Il mestiere di vivere, Cesare Pavese scriveva infatti: «Si ha pietà di tutti, meno di quelli che si annoiano. Eppure la noia è considerata una massima pena e comminata dal codice, il carcere». Le cose però, come abbiamo visto, stanno decisamente cambiando.