I Greci che nell’VIII secolo a.C. colonizzarono l’attuale Calabria chiamarono Enotri i popoli loro predecessori, fossero indigeni, fossero essi stessi immigrati dalle coste dello Jonio nel corso del III millennio. Il nome greco di questa gente antichissima, Oinotròi, è in ogni caso connesso con l’oinos, il vino. Forse anche per questa ragione Sofocle nell’Antigone chiama Dioniso dio che protegge la gloriosa Italia. Alla leggenda fa da richiamo la geografia (e viceversa).

La Calabria, lunga e stretta, incastonata tra due mari, quasi interamente collinare e montuosa, ricca di luce e di calore, è per sua natura votata alla viticoltura. E una tradizione tanto antica si esprime al meglio attraverso le uve locali. Tra quelle a bacca bianca spiccano il Greco (di Bianco), il Mantonico, il Guardavalle; tra quelle a bacca nera è giusto segnalare il Gaglioppo, il Magliocco Canino e la Marsigliana nera.

Delle 9 DOC il Consorzio Terre di Cosenza squaderna 7 sottozone; anche le IGT d’area sono 9, alle quali si aggiunge l’IGT rappresentante l’interno territorio regionale. con una percentuale di 80 a 20, è assoluta la prevalenza dei vini rossi. Il comparto enoico calabrese, anche grazie all’immenso patrimonio di vitigni autoctoni e all’avvento delle nuove generazioni, sta vivendo originali e interessanti esperienze, accanto a competenze consolidate.

Come quella di Colacino Wines, di Marzi (CS). Risuonano ancora forti le parole del fondatore, Vittorio Colacino, medico, riportate da Mario Soldati (Vino al vino, Mondadori): “Il Savuto partecipa in prima linea a quell’inversione di tendenza, quel fenomeno in sé obbrobrioso, ovvero il boom del vino industriale accompagnato dai fenomeni della refrigerazione e della pastorizzazione”. Era il 1975 e le idee in casa Colacino, con il figlio Mauro, sono sempre le stesse. Britto, il Savuto Superiore DOC, porta nelle vene Arvino, Greco Nero, Magliocco Canino e Nerello Cappuccio. Rosso barbabietola, ha naso di frutta matura e pepe nero, bocca accarezzata da velluto.

A Gallico, frazione di Reggio Calabria, la Casa Vinicola Tramontana vanta più d’un secolo di attività e di generazione in generazione si è consolidato il rispetto per la naturalità e la valorizzazione delle peculiarità varietali. Vorea, Scilla IGT, è un omaggio all’antica lingua grecanica: significa vento freddo. E freddo si consiglia di consumare questo vino dal colore rosso brillante, dal naso di mora e bocca morbida e avvolgente, altrettanto immediato e convivale. L’uva è Nerello Calabrese in ossequio al desideri di rappresentare il territorio nel bicchiere.

Nella cantina di Antonino Altomonte, a Palizzi, l’estremo meridionale reggino, le lavorazioni avvengono ancora a mano in regime familiare. Altomonte è uomo di zappa, legato alla terra come pochi. La meticolosa attenzione da dedicare al lavoro in vigna, le attente cure manuali, il rispetto assoluto del territorio e pratiche totalmente ecocompatibili stanno alla base del suo lavoro. Melfio, Palizzi IGT, prende il nome della località dove si coltivano le uve di Nerello Mascalese, Nocera, Alicante su un appezzamento terrazzato a 500 metri sul livello del mare che guarda il mare. Il colore intenso e l’alta gradazione si traducono in un vino che ama stare in bottiglia per anni e che va stappato nelle migliori occasioni.

Sempre nell’estremo meridionale regionale vale la pena ricordare l’esperienza di Antonella Lombardo. Lei baratta la toga dei tribunali di Milano con la terra degli avi come strumento di riscatto personale. I vini della Lombardo: Pi Greco ma anche Charà, Nerello Mascalese, vinificato in rosato, profuma di lampone e mora, appena speziato. Agile e persistente in bocca.

Per conoscere uno dei più singolari i vini bianchi bisogna invece dirigersi a Strongoli, nel Crotonese. La Pizzuta del Principe non è una storia di numeri, ettari e fatturati, ma di donne e uomini, generazioni che lavorano con passione la vigna, dalla potatura alla vendemmia. Zona di uva a bacca bianca Pecorello, da cui si ottiene Molarella, Val di Neto IGT, vino dorato, potenti al naso la ginestra e la zagara, anche degno di invecchiamento sino ai 5 anni per un palato che vira verso la nocciola.

Storicamente presente in Calabria, lo Zibibbo ha trovato casa a Francavilla Angitola, nel Vibonese, tra le vigne del giovane Giovanni Celeste Benvenuto. Intenso e complesso al naso, moderatamente aromatico con note finissime di bergamotto e fiori d’acacia, possiede buon grado alcolico, secco e fresco.
Sempre nel Vibonese, a Nicotera, va ricordata la famiglia Comerci, che dall’Ottocento lavora nel mondo enoico. Domenicantonio Silipo, quarta generazione di vigneron, predilige Magliocco Canino e Greco Bianco, coltivati in regime d’agricoltura biologica. Da quest’ultimo Rèfulu, dall’impatto odoroso di camomilla e ortica. Morbido, in bocca, sul finale.
Da raccontare, in un prossimo appuntamento, i vini di Calabria da uve appassite e la nuova frontiera dedicata ai rosati e agli spumanti metodo classico ottenuti con uve locali.
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