Nel numero 507, marzo 2014, della prestigiosa rivista scientifica Nature alcuni ricercatori inglesi e australiani si interrogano su come le produzioni zootecniche possano sfamare il mondo in modo sostenibile. Partendo dal presupposto che i consumi di proteine animali, secondo le stime FAO, aumenteranno da oggi al 2050 del 70% e che questo incremento sarà concentrato nei paesi in via di sviluppo, i ricercatori suggeriscono le principali strategie da adottare affinché l’allevamento animale, dal quale oggi dipende la vita di almeno 1 miliardo delle persone più povere del mondo, sia in grado di rispondere a questi bisogni nel rispetto dell’ambiente e del benessere degli animali. Gli autori suggeriscono 7 azioni: 1) dare da mangiare agli animali meno cibo adatto all’uomo, tenendo presente che buona parte dell’alimentazione di monogastrici (polli e suini) e, in particolare, di ruminanti (bovini, caprini e ovini) è costituita da alimenti non adatti direttamente al consumo umano in quanto troppo ricchi di fibre oppure sottoprodotti delle industrie molitorie o agroalimentari; 2) allevare razze locali, le quali si dimostrano le meglio adattate alle condizioni ambientali e sanitarie, specialmente nei paesi a clima tropicale; 3) curare gli animali, non solo per garantirne il benessere, ma anche per assicurarne una adeguata produzione; 4) utilizzare dei supplementi alimentari smart, quali ad esempio trifoglio rosso in Europa o l’Azzolla caroliniana (felce d’acqua) in India, in grado di migliorare naturalmente la digestione e il metabolismo degli animali; 5) mangiare più qualità e meno quantità, soprattutto nei paesi ad elevato consumo di carne; 6) cucire le pratiche di allevamento alle culture locali, considerando che in molte aree povere del pianeta gli animali sono allevati più per costituire una riserva monetaria in caso di necessità che per l’alimentazione; 7) tenere conto dei costi/benefici, soprattutto di quelli ambientali che devono entrare se non nella contabilità delle aziende agrarie, almeno in quella delle nazioni; 8) studiare le best practice coinvolgendo molte discipline, da quelle strettamente zootecniche alle economico-sociali.
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