Non c’è Natale al cinema senza una tavola imbandita, e non c’è tavola imbandita che non nasconda, sotto il tovagliato festivo, una mina pronta a esplodere. Il cibo natalizio è il vero e proprio barometro emotivo dei film a tema: è il collante della famiglia, il pretesto per la riunione, ma anche il palcoscenico di tensioni represse, goffe figuracce e, immancabilmente, memorabili risate.
Il cinema, attraverso le sue scene culinarie, ci ricorda che le feste non sono fatte solo di luci scintillanti, ma di parenti insopportabili, piatti disastrosi e la struggente malinconia del tempo che passa.
Quando si parla di pranzi natalizi al cinema, il pensiero corre immediatamente all’Italia e all’inarrivabile, amaro, capolavoro di Mario Monicelli, Parenti Serpenti (1992). Qui, il cenone della Vigilia non è un momento di gioia, ma l’atto finale di un dramma familiare. La casa di nonna Trieste e nonno Saverio si riempie, e con essa la tavola, dove piatti della tradizione napoletana come il capitone e la pastiera sono simboli di un’identità troppo stretta. Il cibo qui è il carburante per l’ipocrisia, la calma apparente prima che la domanda sull’eredità faccia crollare ogni menzogna. La tradizione culinaria è il velo che nasconde la verità.

Il cinema americano usa il pranzo di Natale (spesso il tacchino del giorno 25) come massima espressione del fallimento delle aspettative, soprattutto quando c’è di mezzo l’ansia della “festa perfetta”. Un esempio su tutti è Un Natale Esplosivo! (National Lampoon’s Christmas Vacation, 1989). Clark Griswold (Chevy Chase) tenta disperatamente di organizzare il Natale ideale per la sua famiglia. Il culmine è la presentazione del tacchino che, dopo ore di cottura, sembra perfetto all’esterno. Ma al momento del taglio, si sgonfia in un istante rivelando un interno carbonizzato e secco come la segatura. Il disastro in cucina è la punizione per l’eccessiva ambizione e la conferma che l’autentico spirito natalizio resiste solo al caos, non alla perfezione forzata.
Un altro grande classico è Mamma, ho perso l’aereo (Home Alone, 1990). Kevin McCallister, lasciato solo, non ha bisogno del tacchino elaborato. Il cibo diventa, per lui, espressione di una libertà infantile e, allo stesso tempo, di una profonda solitudine. Svuota la dispensa di tutto il junk food a disposizione, e ordina anche una pizza al formaggio. Il cibo gli sembra libertà ma l’assenza di una tavola affollata mette malinconia.

Nel coro di storie di Love Actually (2003), il cibo è meno centrale, ma la sua assenza o presenza marca momenti cruciali. Tè, caffè e piccoli banchetti sono lo sfondo delle crisi, come quella di Emma Thompson che scopre il tradimento del marito (Alan Rickman). Tuttavia, è l’atmosfera generale che trasforma i ritrovi in momenti intimi. L’odore di torte, gingerbread e spezie aleggia sulle scene, un profumo che nel film simboleggia la promessa di calore e consolazione, anche quando il cuore è infranto. Il vero cibo del Natale, in questo film, sono i sentimenti, serviti su un piatto di scones e tè caldo.
Il cibo natalizio è il vero motore della redenzione nel film Il Grinch (2000), tratto dal racconto del Dottor Seuss. Il Grinch odia il Natale e odia soprattutto le abbuffate dei Nonsochi, che includono budini, gelatine, torte e un’infinità di tartine. Il cibo rappresenta per lui l’eccesso e il consumismo. Ma è proprio al tavolo, tra l’allegria e l’amore della famiglia Chi, che il suo cuore di pietra si scioglie.
Ma tornando in Italia, nel film di Luciano De Crescenzo, Così parlò Bellavista (1984), il cenone della Vigilia a Napoli è celebrato con un’enfasi che travolge il razionalista milanese Cazzaniga. La scena in cui il mitico capitone scappa dalla vasca, creando il panico, è l’apice della festa: il caos alimentare che diventa una metafora della vitalità partenopea.
Un altro affresco indimenticabile delle nevrosi natalizie arriva dalla Toscana con Benvenuti in casa Gori (1990) di Alessandro Benvenuti. Qui, il pranzo di Natale è un’esplosione di dialetti, incomprensioni e rancori sopiti che riemergono tra un piatto e l’altro. La tavola è imbandita con i piatti tipici regionali: i crostini toscani, i tortellini in brodo, lo spumante. Ma la convivialità è solo di facciata. I parenti, invece di godersi il pasto, si scontrano, si accusano e si prendono a male parole. Il pranzo si trasforma rapidamente in un gioco al massacro, dimostrando che i sapori più aspri della festa non sono nel menù, ma nelle dinamiche familiari.

Che sia una pizza al formaggio solitaria, un tacchino bruciato o un capitone fuggiasco, il cibo di Natale al cinema rimane una lente d’ingrandimento sulla nostra umanità. Sotto strati di glassa e sughi elaborati, i registi continuano a trovare la verità più profonda e universale delle nostre tradizioni.